Gentile Signorina,
l'amore che Dio ha avuto verso le Sue creature è
incommensurabile. È Amore oltre ogni immaginazione o conoscenza umana (si legga
lo stupendo capitolo 3 della lettera agli Efesini! soprattutto la parte finale).
Ma proprio perché immenso, l'amore non va disgiunto dal timore che è
giusto avere verso Dio, proprio perché è Dio, Padre amorevole. Anche fra due
persone che si amano intensamente, il loro amore li porta a rispettarsi
reciprocamente. Questo rispetto è appunto il «timore» di cui parliamo.
Già il Libro dei Proverbi (Bibbia ebraica) afferma che il principio della
conoscenza è "il timore di Dio".
Ricordiamo due aspetti dell'amore/timore di Dio. Riconsideriamo uno dei ladri
che muore con Gesù. Pentendosi, si rivolge così all'altro ladro bestemmiatore:
«Non hai tu neppure timore di Dio, tu che ti trovi nel medesimo
supplizio? E per noi è cosa giusta, perché riceviamo la degna pena delle nostre
azioni; ma questi [Gesù] non ha fatto nulla di male» (Lc. 23,40 s.). Il senso è
chiaro: stiamo per presentarci davanti al Signore sia tu che io, due ladroni.
Adesso non è più il caso di fare gli sbruffoni come abbiamo fatto per tutta la
vita, buttandola via con azioni sbagliate. Ora deve intervenire il
"timore-rispetto di Dio". Per questo il ladro pentito dice a Gesù: «Ricordati di
me...»
Un secondo aspetto è un concetto molto importante nel NT. Può il cristiano
rimanere nel peccato affinché la grazia, cioè l'amore, abbondi? Può cioè
approfittare della "sovrabbondante" grazia di Dio (dono salvifico) per
permanere impunemente nel peccato? No, non deve essere così. Il cristiano vive
infatti una vita nuova in Cristo. Si legga con cura questo brano:
Che diremo dunque? Continuiamo a restare nel peccato perché abbondi la grazia? È assurdo! Noi che già siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere nel peccato? O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione... (Rom. 6,1-5).
Pecchiamo perché siamo esseri umani, pieni di limiti e insufficienze. Giovanni, ispirato da Dio, ricorda infatti che pur camminando nella luce del Vangelo, io non posso dire di non peccare, perché così dicendo farei di Dio un bugiardo (1 Gv. 1,6-10). Ciò che posso fare è «confessare» i miei errori direttamente a Lui, per mezzo dell'unico Mediatore che è Gesù Cristo, e Dio è «fedele e giusto da rimettermi i peccati e purificarmi da ogni iniquità» (1 Tim. 2,1-5).
Ma non posso approfittare della grazia di Dio, cioè del Suo Amore. Debbo sempre ravvedermi, dinanzi al Signore, per comprendere sempre più e sempre meglio quanto il Suo Affetto mi risollevi e mi aiuti nei momenti di caduta.
Il timore verso Dio è rispetto verso di Lui, ma non è paura. Gesù ci insegna a chiamare Dio «Abbà», cioè «Padre» anzi è la forma più tenera di «Papà», dato che «Abbà» era appunto il nome che i piccoli bimbi ebrei adoperavano per chiamare il loro padre terreno. La fiducia verso il nostro Padre è davvero grande, come grande dev'essre il nostro rispetto verso la Sua Parola. Nell'amore c'è rispetto, fiducia, considerazione, ricambio di affetto, ma non c'è paura.