UNITA' D'ITALIA E PAPATO - UN DOCUMENTO
L''UNITÀ D''ITALIA E IL PAPATO
I centocinquant''anni dall''Unità d''Italia si stanno celebrando in vario modo e con varie inizative civili - anche se talvolta non proprio spontanee, vista la fase non precisamente unitaria che caratterizza il nostro Paese al momento attuale. Si registrano pure inopinate iniziative religiose. Alcune di queste in ambito denominazionale protestante mostrano dubbio gusto biblico, come quella di dedicare culti speciali alla ricorrenza.
L''unità italiana è il risultato di scelte e determinazioni di uomini mossi da forte desiderio di libertà e indipendenza nazionali. Ciò non autorizza tuttavia a mutare lo scopo biblico del culto al Padre come è presentato nel Nuovo Testamento (Gv. 4,23-24; Eb. 13,15). Tale scopo è spiritualmente diverso per cui si pone e si attua necessariamente su un piano di assoluta sovranazionalità. Secondo il Vangelo, il culto della chiesa-comunità è speciale per la presenza del Cristo vivente fra i discepoli (Mat. 18,20), non perché ricorra l''unità nazionale di questo o quel Paese.
L''importanza sul piano storico contemporaneo dell''unità italiana è innegabile. Considerate poi le storiche connessioni politico-religiose tra Italia e Stato Città del Vaticano, il sito della chiesa del Signore Gesù Cristo a Pomezia (Roma) intende esser presente al momento attuale pubblicando la lettera che un prelato scrisse nelle ore stesse che videro il sorgere dell''unità nazionale italiana. La lettera è in sé un documento storico di valore ma è soprattutto segno di notevole onestà intellettuale e sollecitudine morale. Mostra infatti le reazioni a caldo dell''animo nobile di p. Gioacchino Ventura dinanzi ai bombardamenti subìti da Roma per ordine di Pio IX.
Il valore del documento è poi accresciuto dal fatto che la stessa lettera fu pubblicata sulla rivista Il seme del regno (09/1960 - Fondo R. Berdini - Biblioteca Salvoniana) in occasione del Centenario dell''unità italiana. La rivista era diffusa tra chiese di Cristo le quali - rigettando allora di fatto sia il modello denominazionale protestante/evangelico sia quello cattolico - si attenevano con fermezza al dato biblico e al dato storico culturale. In base a questi dati, quelle chiese traevano la propria identità forte nell''intento sano di risalire con fermezza al Testamento Nuovo di Cristo Gesù.
Appare oggi più che mai necessario non perdere, ma anzi riacquisire, almeno il desiderio buono di una identità verace, evitando con cura di farsi affliggere dall''imitazione di modelli e strutture che ben poco hanno a che vedere col Vangelo. Come pure occorre evitare la ricerca di legittimazione e accoglienza presso il mondo denominazionale protestante/evangelico. Per essere davvero servitori di Dio occorre compiacere a Lui, non agli uomini (Gal. 1,10). Occorre guardarsi dai corsi e ricorsi storici cui andò soggetto anche l''antico Israele, che di quando in quando si volgeva a imitare i popoli vicini, allontanandosi così dalla parola del Signore.
Per tornare alla lettera di p. G. Ventura, il curatore della stessa per Il seme del regno fu Raffaello Paone (1904-1983), letterato e diplomato in Alta Latinità alla Gregoriana di Roma, vincitore di premi di Magna Laude per carmi latini nel Certamen Vaticanum V (1965), autore prolifico di liriche e saggi storico-biblici. Chi scrive ha avuto l''onore di conoscerlo e considerarlo tra i propri maestri; ne ricorda soprattutto la predicazione attenta e accurata del Vangelo, espressa con una veracità che non dimenticava la bimillenaria vicenda culturale italiana, storica e letteraria. Il dotto R. Paone era ben lontano dal porre in rapporto l''origine storica reale della chiesa (Mt. 16,16-18; Atti 2,47b; 11,26) con vicende storiche importate e trapiantate in Italia. Il valore alto della cultura espressa da R. Paone lo dotava poi di quella competenza poetica che gli consentì di scrivere versi tuttora cantati nel culto biblico in spirito e verità di numerose chiese del Signore in Italia.
Nella lettera di p. G. Ventura, i caratteri maiuscoli e qualche parentesi quadra sono da attribuire al curatore per enfasi o chiarezza.
Si noterà che timori e profezie di p. G. Ventura o non si sono verificati o sono stati superati da concordati mediante abili azioni politiche. Ma di sicuro non si può dire che la decadente condizione del cattolicesimo attuale e la percentuale relativamente esigua dei cattolici praticanti in Italia non siano l''esito anche dei fatti riprovati da p. G. Ventura nella sua lettera. La pubblichiamo nella speranza di contribuire ad attenuare almeno un poco quella che purtroppo è la patologia primaria degli italiani, la dimenticanza della storia. Ed è ben noto che chi dimentica la propria storia è destinato a ripeterne gli errori. [R.T.]
SPUNTI DI STORIA DELLA CHIESA
a cura di Raffello Paone (Padova)
La lettera che riportiamo è tratta dal volume di Luigi De Sanctis, Roma papale (Firenze, 1871, 410-415). La traduzione italiana dal francese è dello stesso De Sanctis ed è stata scritta dal cattolico padre Gioacchino Ventura di Raulica. Nato a Palermo 18 dicembre 1792, Ventura fu prima discepolo dei Gesuiti, quindi entrò nell’ordine dei Teatini (1818), di cui fu anche generale per tre anni. Andò in esilio prima a Montpellier, poi (1851) a Parigi, e morì a Versailes il 2 agosto 1861. Oratore famoso e ricercato, pubblicista di chiara fama, perse il cappello cardinalizio per aver scritto questa lettera, in cui Ventura, che pur ama il papa, rivela la tragica situazione di un papa-re che vuol regnare a forza sui sudditi. Pubblicando questa lettera, la Direzione della rivista [Il seme del regno, 09/1960] vuole partecipare ai festeggiamenti, che si tengono in tutta Italia per il centenario della sua Unità e ricordare agli italiani, troppo facilmente dimentichi, con le espressioni di uno scrittore contemporaneo non certo tendenziose QUALE SIA STATA L’OPPOSIZIONE PAPALE, IN NOME DI PRESUNTE RAGIONI RELIGIOSE, ALL’UNIFICAZIONE DELL’ITALIA.
Caro amico e fratello,
scrivo con le lacrime agli occhi ed il cuore spezzato dal dolore. Mentre scrivo queste righe, i soldati francesi bombardano Roma, distruggono i suoi monumenti, uccidono con le loro mitraglie i suoi cittadini, ed il sangue scorre a torrenti. Ruine si accumulano sopra ruine, e Dio sa quale sarà la fine di questa orribile lotta. Si teme che, se i Francesi entrano in Roma per assalto, il popolo nella sua rabbia non si lasci trascinare a massacrare preti, frati e monache: ed in questo caso che bella vittoria avrebbe ottenuta la Francia! che bella restaurazione dell’autorità papale avrebbe fatta!
La storia ci insegna che, generalmente parlando, le restaurazioni operate dalla forza non sono durevoli ed i troni alzati sopra i cadaveri e nel sangue, finiscono ben presto rovesciati di nuovo per scosse più violente. Fra tutte le combinazioni discusse a Gaeta per rimettere il papa sul trono si è scelta la più deplorevole e la più funesta.
Ma quello che maggiormente affligge ogni anima cattolica è che, se questa restaurazione ha luogo, essa, senza ristabilire il potere del principe, percuoterà e forse distruggerà l’autorità del pontefice.
OGNI COLPO DI CANNONE LANCIATO CONTRO ROMA DISRUGGE A POCO A POCO LA FEDE CATTOLICA NEL CUOR DEI ROMANI.
Io vi ho già detto l’orribile impressione che han fatta sul popolo di Roma i confetti dì Pio IX mandati ai Suoi figli e l’odio che avevano eccitato contro i preti. MA TUTTO CIÒ È NULLA IN CONFRONTO DELLA RABBIA CHE LE BOMBE FRANCESI HANNO ECCITATO NEL POPOLO CONTRO LA CHIESA E IL CATTOLICESIMO. Siccome la maggior parte di quelle bombe sono cadute in Trastevere ed hanno rovinato le case dei poveri ed uccise le loro famiglie, così i Trasteverini in particolare, quella porzione della popolazione romana che era la più cattolica, ora maledice e bestemmia il papa ed i preti a nome dei quali vede commettere così orribili stragi.
Io sono lungi dal credere che Pio IX voglia tutte queste cose, anzi credo che neppur le conosca. Io so che egli è in tale stato di isolamento che la verità dei fatti non può giungere fino a lui; o se vi giunge, vi perviene assai alterata. Io so che il povero papa, circondato da gente cattiva ed imbecille, rilegato nel fondo di una cittadella e poco padrone di se stesso, è quasi prigioniero. Io so che si abusa del suo carattere, della delicatezza di sua coscienza e della malattia nervosa che lo sottomette all’influsso di quelli che lo circondano.
Ma questo credo e so: il popolo romano non sa e non crede ciò.
Il popolo sa e crede quello che vede e soffre. ESSO VEDE GLI AUSTRIACI CHE, GUIDATI DA UN PRELATO DEL PAPA [Mons. Bedini], PORTANO LA DESOLAZIONE E LE STRAGI NELLE DELEGAZIONI, BOMBARDANO LE CITTÀ, IMPONGONO CONTRIBUZIONI ENORMI AI PIÙ PACIFICI CITTADINI, FUCILANO, ESILIANO I MIGLIORI PATRIOTI E RISTABILISCONO PER TUTTO IL DOMINIO CLERICALE.
IL POPOLO VEDE CHE I FRANCESI A NOME DEL PAPA FANNO SCORRERE IL SANGUE ROMANO E DISTRUGGONO LA LORO BELLA CITTÀ.
IL POPOLO VEDE CHE È IL PAPA AD AVER SGUINZAGLIATO QUATTRO POTENZE ARMATE DI TUTTI I MEZZI DI DISTRUZIONE CONTRO IL POPOLO ROMANO come si sguinzagliano i mastini contro una bestia feroce: e, vedendo tali cose, esso non sente più nulla e si leva contro il papa e contro la Chiesa IN NOME DELLA QUALE IL PAPA PROCLAMA ESSERE SUO DOVERE RIACQUISTARE CON LA FORZA IL DOMINIO TEMPORALE.
Il Signor D’Harcourt scriveva da Gaeta: «La ragione e la carità sono bandite ugualmente da Roma e Gaeta». In queste parole vi è tutta la storia dei sette ultimi mesi. Gli eccessi di Roma, che nessuno intende approvare, sebbene inevitabili in tempo di rivoluzione sono stati superati dagli eccessi di Gaeta.
NON UNA PAROLA DI PACE, DI RICONCILIAZIONE, DI PERDONO. NON UNA PROMESSA DI MANTENERE LE PUBBLICHE LIBERTÀ, CHE SI AVEVA DIRITTO D’ATTENDERE DALLA BOCCA DI UN PAPA, E DI UN PAPA COME PIO IX.
Nessuna di queste cose è venuta fuori da quel rifugio dell’assolutismo, da quella accozzaglia di sciocchezze e di malignità congiurate assieme, per soffocare nella bella anima di Pio IX ogni sentimento di carità e d’amore.
Si è letta l’ultima allocuzione del papa ai cardinali. Quale imprudenza, quale sciocchezza METTERE SULLA BOCCA DEL PAPA IN PIÙ POMPOSI ELOGI DELL’AUSTRIA E DEL RE DI NAPOLI, CHE SONO I PIÙ GRANDI NEMICI DELL’INDIPENDENZA ITALIANA, e i cui nomi fanno orrore ad ogni italiano!
QUALE IMPRUDENZA AVER FATTO DIRE AL PAPA CHE È EGLI STESSO CHE HA FATTO APPELLO ALLE POTENZE STRANIERE PER ESSERE RISTABILITO SU QUEL TRONO CHE EGLI STESSO AVEVA ABBANDONATO! È come se egli evesse detto: Io voglio fare al mio popolo quella guerra che l’anno scorso dichiarai non voler fare ai Croati ed agli Austriaci, oppressori dell’Italia!
Le donne stesse fanno questo ragionamento e, vedendo gli effetti di questa guerra brutale e selvaggia di quattro potenze contro un piccolo Stato, vedendo i loro mariti, i loro figli, o uccisi o feriti, non potete farvi un’idea della loro rabbia, dei sentimenti energici che esse manifestano, delle grida di furore e delle maledizioni che mandano contro il papa, i cardinali ed i preti.
Quindi comprenderete bene perchè le chiese sono state devastate; non si vuol più confessione, né comunione, né messa, né predica. In Roma non si predica più perchè mancano gli uditori.
Non si vuole più nulla di quello che è presentato dal prete o che sa in qualche modo di prete!
Per me Pio IX è sempre il Vicario di Cristo, il capo della chiesa, il maestro, il dottore, l’interprete infalibile della regola della fede e dei costumi. Le debolezze ed anche gli errori dell’uomo non mi fanno dimenticare in lui le sublimi prerogative del pontefice. Ma il popolo può comprendere tali cose? Può esso sollevarsi e fermarsi A QUESTE DISTINZIONI TEOLOGICHE? Disgraziatamente nello spirito del popolo i delitti e le crudeltà l’uomo sono i delitti e le crudeltà del prete, gli errori del re sono gli errori del papa, le infamie della politica sono gli effetti della dottrina della religione.
I miei amici di qui mi nascondono tutto quello che si fa e si dice a Roma in questo senso: essi vogliono risparmiarmi l’immenso dolore che mi cagionerebbero tali notizie. Malgrado queste cure delicate io ho saputo che in Roma tutta la gioventù, tutti gli uomini istruiti sono venuti a questo ragionamento: il papa vuole regnare a forza su di noi, vuole per la chiesa e per i preti la sovranità che non appartiene che al popolo; egli crede e dice che è suo dovere agire in tal modo perché noi siamo cattolici, perché ROMA È IL CENTRO DEL CATTOLICESIMO. Ebbene, chi ci impedisce di finirla con il Cattolicesimo, di farci protestanti, se occorre? Ed allora quale diritto politico potrà vantare su di noi? Non è cosa orribile PENSARE CHE PERCHÉ SIAMO CATTOLICI E FIGLI DELLA CHIESA DOBBIAMO ESSERE SPADRONEGGIATI DA ESSA, ABDICARE TUTTI I NOSTRI DIRITTI, ASPETTARE DALLA LIBERALITÀ DEL PRETI, COME UNA CONCESSIONE, QUELLO CHE CI È DOVUTO PER GIUSTIZIA, ed essere condannati alla sorte più miserabile dei popoli?
Ho saputo ancora che tali sentimenti sono divenuti assai più comuni di quanto io pensavo, e che sono penetrati perfino nel cuore delle donne. Così venti anni di fatiche apostoliche, che ho sopportate per unire sempre più il popolo romano alla chiesa sono perdute in pochi giorni. Ed ecco verificato disgraziatamente anche al di là delle mie previsioni tutto quello che io avevo predetto in tutte le lettere. Il Protestantesimo si trova piantato di fatto in una gran parte del popolo romano, così buono e religioso; e, cosa orribile a dirsi, tutto ciò è avvenuto a cagione dei preti e per la cattiva politica nella quale hanno trascinato il papa.
Ah!, mio caro amico, L’IDEA DI UN VESCOVO CHE FA MITRAGLIARE I SUOI DIOCESANI, DI UN PASTORE CHE FA SCANNARE LE SUE PECORE, DI UN PADRE CHE MANDA SICARI AI SUOI FIGLI, DI UN PAPA CHE VUOL REGNARE ED IMPORSI A TRE MILIONI DI CRISTIANI PER MEZZO DELLA FORZA, CHE VUOLE RISTABILIRE IL SUO TRONO SULLE RUINE, SUI CADAVERI, SUL SANGUE; QUESTA IDEA, DICO, È COSÌ STRANA, COSÌ ASSURDA, COSÌ SCANDALOSA, COSÌ ORRIBILE, COSÌ CONTRARIA ALLO SPIRITO E ALLA LETTERA DELL’EVANGELO che non v’è coscienza che non ne sia stomacata, non vi è fede che possa resistere ad essa, non vi è cuore che non frema, non v’è lingua che non si senta spinta a maledire, a bestemmiare! Era meglio mille volte perdere tutto il dominio temporale ed il mondo intero, se fosse abbisognato, piuttosto che dare un tale scandalo al popolo!
Oh! Se Pio IX fosse stato lasciato a se stesso! Se egli avesse potuto agire non consultando altro che il suo cuore! In primo luogo, egli non avrebbe mai abbandonata Roma; e, se fosse stato obbligato ad abbandonarla, non avrebbe lasciato lo stato Romano; egli sarebbe andato a Bologna, o ad Ancona, o a Civitavecchia, e vi sarebbe stato accolto come un inviato dal cielo. I Romani si sarebbero affrettati ad indirizzargli tutte le possibili onorevoli soddisfazioni. Egli non sarebbe andato a Gaeta. Di là non avrebbe respinta la deputazione che gli mandava la città di Roma, non avrebbe fulminata quella scomunica che allontanò dalla costituente tutti gli uomini di coscienza timorata, tutti i suoi amici. Consigliato di provocare l’intervento armato delle potenze, avrebbe risposto che quello che è indifferente per un re, è scandaloso per un padre; e che non si sarebbe mai detto che Pio IX avrebbe fatto la guerra al suo popolo. Avrebbe detto che egli non voleva riconquistare con la forza, quello che non poteva più possedere per l’amore. Avrebbe detto: «L’esilio, mille volte l’esilio, piuttosto che versare una sola goccia di sangue dei miei figli, piuttosto che appellarmi alle baionette e ai cannoni, che sottometterebbero per forza il mio popolo ma mi farebbero perdere il suo amore e lo allontanerebbero dalla chiesa e dalla religione».
Se Pio IX avesse tenuto un tale linguaggio, se avesse fatto delle allocuzioni in tal senso, il popolo romano si sarebbe levato in massa, sarebbe andato a cercare il suo pontefice, lo avrebbe ricondotto in trionfo e sarebbe stato felice di vivere sotto l’ubbidienza di un tale principe. Quello sarebbe stato il mezzo più sicuro, il più efficace di risvegliare la reazione e renderla potente. Ma L’APPELLO ALLA FORZA E ALLA GUERRA, LA PRESENZA E IL TERRORE DEL COMBATTIMENTO, invece di determinare la reazione l’hanno indebolita, disarmata, annientata. Anche coloro che una volta erano per il papa, han trovato giusto e onorevole che si rispondesse alla guerra con la guerra; hanno ripudiato Pio IX come re, cominciano già a respingelo anche come pontefice.
È probabile che Roma soccomba sotto l’attacco delle armi francesi: come difatti resistere alla Francia? È possibile che il Papa rientri in Roma portando in mano la spada invece della croce, preceduto dai soldati e seguito dal carnefice, come se Roma fosse la Mecca e il Vangelo fosse il Corano; ma egli non regnerà più sul cuore dei romani. Sotto questo aspetto il suo regno è finito, finito per sempre. Egli non sarà più papa che su un piccolo numero di fedeli.
L’IMMENSA MAGGIORANZA RESTERÀ PROTESTANTE DI FATTO, perchè essa non praticherà più la religione [cattolica], tanto sarà grande il suo odio contro i preti.
Le nostre predicazioni non potranno più far nulla, ci sarà impossibile di far amare, o almeno tollerare la chiesa cattolica da un popolo che avrà imparato a odiarla, a disprezzarla in un papa imposto dalla forza, e in un clero dipendente da quel papa.
Ci sarà impossibile persuadere che la religione cattolica è la madre e la nutrice della libertà dei popoli [??!!] e la garanzia della loro felicità. I più belli argomenti, i più sensibili ai nostri giorni, i soli che siano gustati dai popoli, i più efficaci, quegli argomenti di fatto, in forza dei quali due anni or sono facevano trionfare la religione negli spiriti più ribelli, nei cuori più duri, quegli argomenti ci sono ora strappati di mano. Il nostro ministero è divenuto sterile, e noi saremo fischiati, disprezzati e forse anche perseguitati e massacrati.
Ringraziate dunque a nome della chiesa cattolica i vostri sedicenti cattolici, i vostri pretesi giornali religiosi. Essi possono andar superbi di avere incoraggiato e sostenuto l’attuale governo francese in questa guerra fratricida, che non lascerà nella storia se non una di quelle pagine sanguinolente che l’umanità e la religione debbono espiare per lunghi secoli. Sono riusciti ad estinguere la fede cattolica nel suo centro, ad uccidere il papa ostinandosi a restaurarne il trono. L’immenso male che han fatto lo comprenderanno un giorno, ma sarà troppo tardi.
Fate di questa lettera l’uso che volete: se la pubblicate avrà il vantaggio di predicare a un clero stordito; e con questo terribile esempio insegnargli che non dobbiamo lasciarci dominare dagli interessi temporali, altrimenti, a somiglianza dei giudei, non solamente non potremo salvare il temporale ma perderemo anche i beni eterni: «Temporalia omittere dimiserunt et vitam aeternam non cogitaverunt, et sic utrumque amiserunt», [non rinunziarono a trascurare le cose temporali né volsero la mente alla vita eterna, e così perdettero entrambe].
Il clero deve prendere seriamente a difendere la causa del popolo e non quella del potere; deve farsi il tutore delle libertà pubbliche, NON DEVE MAI INVOCARE LA FORZA DEL POTERE PER SOTTOMERSI I POPOLI, MA DEVE UNIRSI AI POPOLI PER RICONDURRE IL POTERE NELLE VIE DELLA GIUSTIZIA E DELLA CARITÀ DEL VANGELO.
È tempo altresì che il clero di Francia smetta di combattere imprudentemente e sistematicamente tutto quello che si indica sotto il nome di Socialismo. In ogni sistema vi è del buono, perciò S. Paolo ci dice: «Omnia probate, quod bonum est tenete», [esaminate ogni cosa e ritenete ciò che è buono]! Altrimenti la questione socialista, lasciata a se stessa o perseguitata dal clero, ucciderà il Cattolicesimo in Francia, COME LA QUESTIONE DELLA LIBERTÀ E DELLA INDIPENDENZA ITALIANA, COMBATTUTA DAL CLERO ROMANO E DAL SUO CAPO, HA UCCISO IL CATTOLICESIMO IN ITALIA E NELLA STESSA ROMA.
p. Gioacchino Ventura
Civitavecchia, 12 giugno 1849
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