Modesta critica biblica della crisi economica
Modesta critica biblica della crisi economica
Crisi e suicidi
Forse il caso della pensionata di Gela, suicidatasi sotto le recenti feste pasquali, non è più che un ricordo vago nella mente dei più. Ci siamo forse abituati a sentire le notizie senza ascolarle? Quando i figli le hanno detto che la pensione le era stata ridotta da 800 a 600 euro, Nunzia si è tolta la vita. Il suicidio - così come la morte in genere, compresa la morte sociale (carcere) - è una delle realtà rigettate e negate da questa società del "progresso scorsoio", come lo definì il poeta Andrea Zanzotto). Così si è subito cercata una motivazione logica all''atto di Nunzia: soffriva di depressione. Bella giustificazione. Ma molti anziani (Nunzia aveva 78 anni) ne soffrono, relegati nella solitudine come sono, guardati da tutti e non visti da nessuno, come ha detto recentemente lo psichiatra di fama internazionale Vittorino Andreoli. Quanto invece alle persone di media età, se ne conosce forse qualcuna che non sia depressa o che non viva qualche momento di depressione? E che dire dei giovani? Non è forse vero che la loro legittima voglia di futuro si scontra troppo spesso con una realtà che nega ogni prospettiva, generando sfiducia, scetticismo, depressione?
In Italia risulta in aumento il consumo di farmaci antidepressivi, cresciuto di oltre quattro volte in dieci anni, passando da 8,18 dosi giornaliere per 1000 abitanti nel 2000 a 35,72 nel 2010. È questo uno dei prodotti (negati?) della crisi economica sulle condizioni di salute degli italiani (IX ed. Rapporto Osservasalute, 2011). Non c''è da meravigliarsi più di tanto. Anche la stessa crisi era stata negata a suo tempo, prima di dire che l''Italia la stava superando meglio degli altri Paesi. Viviamo in una società statistica. Contano i numeri, specie se grandi, per cui sembra che qualche suicidio non possa davvero cambiare le cose. Ma le cose cominciano a cambiare anche per le statistiche. Molti studi mostrano l''impatto forte della crisi sulla salute; un impatto che potrebbe portare a un incremento dei suicidi. In Italia si è avuto un aumento del numero di suicidi tra il 2006 con 3697 casi e il 2008 con 3799 casi.
Dove trovare un poco di fiducia nonostante l''impoverimento? Chi può darci un poco di incoraggiamento nonostante la mancanza di lavoro e le porte che ci si chiudono davanti? Ci siederemo a meditare su un fiore di loto a gambe incrociate unendo le punte dell''indice e del pollice delle mani? Ci metteremo a braccia conserte ad aspettare che cada la manna dal cielo? Chi si dice "cristiano" non può ignorare queste domande e le problematiche che pongono a tutti.
In un momento di crisi, di fronte alla dura insensibilità di intere regioni che rigettano la sua parola, Gesù Cristo ringrazia Dio, "Signore del cielo e della terra" e Dio dei "piccoli". Poi fa un invito: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime; il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero" (Mt. 11,25 ss.).
Forse per ritrovare un poco di fiducia e di coraggio dovremmo ripartire da Gesù Cristo, fonte di fiducia e di coraggio. È lui il solo che non ci ha mai mentito, non ci ha mai tradito, ha sempre voluto dirci le cose come stanno, la verità reale. Ancora oggi egli parla chiaro e forte nel Vangelo, anche se, bisogna confessare, troppo spesso lo abbiamo ignorato, lo abbiamo rinnegato coi fatti, ne abbiamo deriso e ignorato la parola vivente, siamo andati dietro a divinità estranee, abbiamo preferito farci solleticare l''orecchio da bugie: la crisi non esiste; il nostro Paese sta superando la crisi meglio degli altri Paesi... Eravano troppo intenti a venerare il dio denaro, il dio potere, il dio partito, per accorgerci delle menzogne che ci venivano dette. Ma i nostri dèi si rivelano per ciò che sono, statue di gesso vuote, fredde, senza amore, inumane.
Cristo Gesù è il solo che si pone come alternativa valida solida duratura anche contro i mali della depressione, della crisi, dello sconforto. Occorre andare a lui mediante la parola che egli ci rivolge tuttora nelle pagine ispirate del Nuovo Testamento. Occorre credere in lui, imparando di nuovo, forse con fatica, la fiducia in lui e negli esseri "umani". Dice Gesù: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà mai sete" (Gv. 6,35). E ancora: chi avrà dato da mangiare o da bere a uno dei miei minimi fratelli, avrà sfamato e dissetato "me" (Mt. 25,35 ss.). La società fatta di individui che non riconoscono nel volto del prossimo il volto di Gesù Cristo è malata allo stadio terminale.
La società moderna non riesce a nascondere la propria disumanità e violenza. È vero che quando ci si trova in mezzo al fiume con l''acqua alla gola bisogna moltiplicare gli sforzi per continuare a nuotare, bisogna avere fiducia. Ma una fiducia pratica imparata da Dio e riposta in Dio, una fede fiduciosa che tenga ben presente il criterio cardine della fiducia: "Sia Dio riconosciuto verace e ogni uomo bugiardo". Il testo non mostra eccezioni (Rom. 3,4).
Gesù non ci ha lasciato alcuna sua immagine tranne una, quella del nostro vicino. Solo Gesù può dire a ciascuno di noi la frase vera ma urtante e persino scandalosa: "Beati voi che siete poveri, perché il regno di Dio è vostro" (Lc. 6,20). Forse è da qui, da questa povertà accolta, ammessa, confessata, che si può ricominciare a salire la strada della fiducia e del coraggio, guardando agli altri non come "clienti" nè come persone da usare per i nostri scopi e da calpestare per raggiungere i nostri obiettivi, ma quali essi sono realmente: immagini viventi di Cristo Gesù stesso. La strada della fiducia la si ritrova accogliendo l''invito di Gesù Cristo e la si percorre insieme a lui. Facendosi piccoli, comportandosi cioè in tutta umiltà.
Linguaggio della crisi e linguaggio della religione
Anche il Lettore più superficiale avrà notato come il linguaggio dell''economia e della crisi economica prenda a prestito molti termini ed espressioni dal linguaggio della religione; per accorgersene basta la semplice lettura di un quotidiano (o l''ascolto del telegiornale). Ecco qualche esempio tratto dal Sole 24Ore (22/04/2012).
1. "L''Euro non è una reliquia barbara". La "reliquia" è per definizione ciò che resta (corpo, oggetti, vesti) di un santo dopo la sua morte. Quando morì Stefano, primo martire della fede (Atti 6-7), il testo biblico non dice che i cristiani tennero da parte le sue reliquie. Luca, ispirato da Dio scrive solo che "alcuni uomini timorati seppellirono Stefano e fecero gran cordoglio su di lui". Il culto delle reliquie non è di origine apostolica, ma è una tradizione medievale, come ha osservato anche lo storico Franco Cardini. Tuttavia il culto delle reliquie fa parte della religiosità attuale, e il linguaggio economico si appropria di questo strano concetto.
2. Occorre "dare fiducia ai mercati". Il Vangelo parla spessissimo di "fiducia"; proprio questa è la migliore traduzione del termine greco "pístis": fiducia, fede fiduciosa, fedeltà, fede. È la fiducia che nasce in un cuore umile che conosce Dio in Cristo Gesù mediante le comprensibilissime pagine ispirate del Nuovo Testamento. È scritto infatti che la fiducia viene dall''udire e l''udire si ha mediante la parola di Cristo (Rom. 10,17). Il Vangelo, letto e meditato con preghiera, è realmente capace di instillare in noi quella fiducia di cui si ha bisogno specialmente in momenti di crisi.
3. "L''Europa si salva... i sacrifici ci stanno salvando". Il concetto di "salvezza" è peculiare sia della Bibbia ebraica che del Nuovo Testamento. "Tu sei il Dio della mia salvezza: io spero in te continuamente" esclama Davide nei Salmi (25,5). Cristo Gesù è presentato nel Vangelo come il Salvatore, "condottiero di salvezza", colui che procura una "salvezza eterna" (Gv. 4,42; Ebr. 2,10; 5,9). Questa salvezza è donata a coloro che l''apprezzano, sapendo che la ricevono grazie al "sacrificio" di Cristo Gesù fatto "una volta per sempre" (Ebr. 7,26 ss.). Questa salvezza non va trascurata soprattutto in tempi di crisi (Ebr. 2,3).
4. "Occorre cambiare rotta senza alterigia e non solo a parole". "Cambiare rotta" è l''equivalente della fondamentale espressione biblica che indica "conversione", cambiamento di strada, mutamento di atteggiamento e comportamento. "Convertitevi e credete al vangelo" annuncia Gesù (Mc. 1,16). Egli ci chiede un cambiamento di rotta nella vita, una virata senza alterigia, cioè un cambiamento umile e non solo a parole. Infatti la conversione verace si vede dai frutti, perché l''albero buono fa il frutto buono (Mt. 12,33).
5. "Lo scorso anno più di 11 mila aziende sono fallite". Il termine "fallimento" traduce bene la parola greca "amartìa", resa in genere con "peccato". Il peccato infatti è proprio questo: un bersaglio mancato, uno scopo fallito. Il Vangelo dichiara peccatori tutti gli esseri umani: tutti siamo falliti dinanzi a Dio (Rom. 3,33) e bisognosi del dono di salvezza in Cristo Gesù.
6. "Perdita della proprietà del bene". Limitiamoci qui alla parola "bene", centrale nel linguaggio biblico. Davide esclama: "Io canterò all''Eterno perché mi ha fatto del bene" (Sal. 13,5). Paolo apostolo gli fa eco nel Vangelo scrivendo: "Attenetevi fermamente al bene... vincete il male col bene" (Rom. 12,9.21). Dio è il bene, il buono. Un tale che osa definire "buono" Gesù Cristo, si sente rispondere: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, salvo uno solo, cioè Dio" (Lc. 18,19).
7. "Il risanamento favorisce la crescita". "Risanamento" è un sanare di nuovo quel che era rotto, ammalato e quindi privo di salute e crescita. Alla porta di Betesda Gesù incontra un uomo infermo da trentotto anni e gli chiede: "Vuoi essere risanato?" E poco dopo all''infermo non pare vero che Gesù gli dica: "Alzati, prendi il tuo giaciglio e cammina. E in quell''istante quell''uomo fu risanato" (Gv. 5,5 ss.).
Questi pochi esempi bastano a mostrare la notevole sovrapposizione esistente fra terminologia della crisi economica e linguaggio religioso e biblico. Purtroppo sembra che a questa intersezione linguistica non corrisponda una volontà di conversione morale/spirituale da parte del mondo economico in genere. Perciò non c''è da meravigliarsi più di tanto se chi analizza la crisi economica sembra evitare con cura ogni accenno a parole, frasi e norme che erano alla base della convivenza civile ebraica. Se ne ricorda qualcuna.
La persona giusta "non dà il suo denaro a usura" (Sal. 15,5). Solo "il malvagio presta a interesse" (Ez. 18,8 ss.). La legge di Mosè (Torà) vieta all''ebreo di prendere un interesse sul denaro prestato a un "fratello"; il prestito a interesse è tuttavia permesso verso lo straniero (Deut. 23,20).
Si dirà che queste sono norme per gli ebrei e non per i cristiani. Ma allora conviene ricordare ciò che insegna Cristo, il Maestro dei cristiani: "Io vi dico che se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, voi non entrerete affatto nel regno dei cieli" (Mt. 5,20). Non è forse cristiana l''Europa? Non si dice forse costituita da popoli tutti affratellati in Cristo? Non si parla anzi continuamente di Occidente cristiano? Che cosa aspettiamo noi cristiani a "superare" la giustizia di scribi e farisei mettendo in pratica anche le norme su prestiti e interesse? O forse non si vuole proprio rinunciare a genuflettersi davanti al dio Mercato, variante moderna del dio Mammona contro cui si scaglia Gesù Cristo? "Nessuno può servire a due padroni: o odierà l''uno e amerà l''altro, o preferirà l''uno e disprezzerà l''altro: non potete servire a Dio e a mammona" (Mt. 6,24). Gesù va proprio d''accordo col profeta Ezechiele che scrive: "Tu prendi interesse, dài ad usura, trai guadagno dal prossimo con la violenza, e dimentichi me, dice il Signore, l''Eterno" (22,12). Parole che meritano riflessione e conversione.
La crisi dei ricchi
La crisi economica presente non è la prima conosciuta dal mondo moderno; si ricorda e ci si confronta spesso con quella del 1929. Purtroppo non sarà l''ultima. La crisi attuale si caratterizza anche per certe parole ed espressioni nuove che, volenti o nolenti, ci tocca sentire, spesso senza capire. C''è però una frase che sembra talmente ovvia da meritare di stare sulla bocca di tutti: "I ricchi non risentono della crisi..." Questa espressione è divenuta così comune che non si pensa a verificarne il valore di verità. Ma stanno proprio così le cose? È proprio vero che il ricco non risente della crisi? Forse è opportuno evitare un uso ideologico del termine "ricco" e sforzarsi di fare almeno qualche semplice distinzione.
Sul Sole 24 Ore (24/04/2012, Quel malessere silenzioso così sottovalutato) Aldo Bonomi ci fa riflettere anzitutto su quei "ricchi" che hanno iniziato a fare impresa in uno scantinato per poi crescere, realizzare il capannone, assumere operai e con loro fare una cogestione della piccola impresa come comunità operosa. Dapprima le cose vanno bene e si riesce anche a costruirsi la villetta accanto al capannone. Ma un giorno arrivano difficoltà e crisi, e ti prende quella che lo psichiatra Eugenio Borgna chiama "depressione motivata". Finisce un mondo. E non può essere un caso che la CGIA (Assoc. Artigiani Piccole Imprese) di Mestre ha censito ben ventiquattro suicidi dall''inizio dell''anno ad oggi. Qui il valore di verità della frase "i ricchi non risentono della crisi" è zero, l''espressione è falsa. Non è solo la povera gente a non farcela. Non pochi imprenditori risentono eccome della crisi, senza tener conto che, come qualcuno ha detto, l''Italia è un Paese dove chi fa impresa è per definizione un sospetto, un (mezzo) delinquente. Nel suo articolo A. Bonomi auspica che si attui ciò che è scritto nello Small Business Act europeo, cioè che ci sia sempre una seconda possibilità.
Nell''Europa che vanta radici cristiane (ma anche nell''Europa che afferma valori laici) tutti, poveri impoveriti e ricchi ridotti sul lastrico, dovrebbero avere una seconda possibilità; nessuno dovrebbe essere costretto a suicidarsi, urlando in silenzio che non ce la fa più a reggere i sensi di colpa per il fallimento. Gesù dice: "La vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito?... Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena" (Mt. 6,25.34). Forse cercare e trovare un poco di fiducia nel Dio di Gesù Cristo che parla nel Nuovo Testamento potrebbe sostenere e incoraggiare in momenti drammatici.
Ma c''è un altro genere di "ricchi", gli epuloni. Ai fanciulli che un tempo andavano a scuola dalle monache si raccontavano le storie di Gesù bambino prese dai vangeli apocrifi dell''infanzia e anche parabole tratte dai vangeli canonici. La più famosa fra queste, a memoria di chi scrive, era la parabola del ricco "epulone". Alla mente del bimbo di quattro o cinque anni, "epulone" è parola magica che si fissa con facilità nella sua immaginazione. Il bambino impiegherà poi forse anche molti anni prima di trovarsi a sfogliare lo Zingarelli: "Epulone. Epulo, -nis. Personaggio di una parabola del Vangelo di San Luca (XVI). Ricco che sciala in frequenti pranzi e cene... epulonismo: smoderato uso di cibi e bevande e ricchi conviti".
Il velo della memoria si solleva, e la mente oggi adulta torna alla parabola dell''epulone che godeva splendidamente. Alla sua porta sta Lazzaro, povero, affamato, piagato. Lazzaro morì per primo, ovviamente, e "fu portato dagli angeli in braccio ad Abramo. Poi morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell''inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell''acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch''essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi".
Qui il valore di verità della frase "i ricchi non risentono della crisi" sembra alto, la frase sembra vera, e forse lo è: in questo mondo. Forse oggi ben poca gente sarebbe disposta a credere davvero a questa parabola verace e magnifica di Gesù. A nessuno sfugge il suo aspetto fondamentale, la legge dell''inversione: in questo mondo tu hai ricevuto molti beni e ne hai goduto splendidamente alla faccia del povero; nell''altro mondo tu riceverai tormenti. Il povero qui è piagato e disprezzato da te, epulone; ma di là riceve consolazione.
Si dirà che questa visione delle cose è troppo ingenua per essere accolta dalla mentalità moderna. Eppure almeno chi si ritiene cristiano dovrebbe dare il massimo valore di verità alla parola di Gesù. Forse farebbe bene a tutti, credenti e non credenti, vivere una insonne notte manzoniana per pensare fra noi e noi stessi, come solo di notte si può pensare: Non c''è un Dio così... non esiste un Dio che "atterra e suscita, che abbatte e che consola"... Ma se ci fosse..? Se ci fosse davvero quel Dio che ognuno di noi cerca come a tastoni? Se ci fosse davvero quel Dio di cui Gesù ci parla con semplicità e veridicità?
La crisi e la forbice
Tra le affilate metafore usate per descrivere gli effetti della crisi economica presente c''è quella della "forbice". Si dice che la crisi allarga "la forbice" tra ricchi e poveri. Purtroppo è vero. Angel Gurria, Segretario generale dell''Organizzazione per la Cooperazione economica e lo Sviluppo (OECD) dichiara che "la disparità tra ricchi e poveri non è mai stata tanto alta negli ultimi 50 anni. Il reddito medio del 10% della popolazione più ricca è nove volte quello dei più poveri. Venti anni fa era sette volte maggiore". L''immagine della "forbice" serve a descrivere il fatto che già dagli anni 80 il divario economico tra ricchi e poveri è aumentato in 17 paesi su 22.
Menzionare gli anni 80 riporta indietro di poco più di vent''anni, alla "fine della storia" (come si disse allora) dichiarata nel 1989 alla implosione dell''Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, del comunismo. Poi però si è avuta, fra le altre calamità, una guerra in Bosnia, una in Iraq, una in Afganistan (in atto), e varie altre guerre, atti terroristici, rivoluzioni... Con tutto il rispetto per gli storici, chi allora parlò di "fine della storia" fu un ottimista bugiardo.
Un''altra parola magica cominciò a circolare negli anni 80, "globalizzazione". Per dirla senza pretese, si tratta della progressiva abolizione delle barriere commerciali, quindi dell''aumento dei volumi del commercio internazionale, della crescente integrazione economica dei paesi e dell''ampliamento dei mercati di imprese multinazionali. Col massimo rispetto verso economisti di ogni tendenza, forse alla luce della situazione attuale anche in questo caso ci fu (c''è?) un ottimismo eccessivo, prodotto magari dal desiderio che un''economia globalizzata fosse la panacea per tutti i mali economici del pianeta Terra. Altro caso di ottimismo bugiardo?
Fra le molte tentazioni mondane che Gesù Cristo dovette superare, ci fu quella di essere fatto re per acclamazione. Accadde all''indomani della moltiplicazione del cibo da lui fatta quando fu mosso a pietà per la folla affamata che lo aveva seguito per ascoltarne la parola. La gente, visto l''accaduto, sta per venire ad acclamarlo re. È una reazione naturale. Uno che con cinque pani d''orzo e due pesci riesce a sfamare migliaia di persone merita di salire al trono! Con lui infatti la storia rischia di finire davvero: non più lotte e guerre fatte (come ormai forse si è capito) per ragioni economiche. Con lui finirebbe pure ogni sorta di problema economico, perché è lui stesso la soluzione di tutti i mali economici del pianeta.
Eppure Gesù rifiuta di porre fine alla storia politica ed economica dell''uomo. Non è questo il compito che ha avuto da Dio; perciò "Gesù, sapendo che stavano per venire a rapirlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, tutto solo (Gv. 6,15). A Gesù Cristo la missione solitaria di tracciare e indicare la via della vita in Dio, di deporre la sua vita perché tutti abbiano vita "in abbondanza", di risuscitare per la potenza di Dio (Gv. 10,10 ss). Agli uomini il compito di continuare la storia per ricercare e imparare giustizia, equità, rispetto del povero, del malcapitato, di chi non ce la fa più.
Quanto alla "forbice", il divario economico tra ricchi e poveri non è certo una peculiarità della società moderna. C''è da chiedersi sul serio se non si stia regredendo: forse verso un mondo di ricchissimi e di poverissimi dove non è più vero che i soldi bisogna farseli perdonare, come diceva A. Rizzoli? Se è così, allora può essere utile riflettere su due brani del Vangelo. Il primo è di Gesù Cristo: "Quanto malagevolmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio! Infatti è più facile a un cammello passare per la cruna di un ago, che ad un ricco entrare nel regno di Dio" (Lc. 18,24 s.).
Il secondo è di Giacomo, fratello di Gesù: "E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle tarme; il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti. Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza" (Giac. 5,1 ss.).
Queste parole ispirate da Dio sono parte integrante della Parola eterna di Dio. Le chiacchiere della retorica bugiarda dell''economia stanno a zero. La parola del Vangelo è chiara e forte, per chi voglia ascoltare e vedere.
La conclusione aperta di questa modesta critica della crisi la si affida a un brano del vangelo secondo Paolo:
Penso che le sofferenze del momento presente sono un nulla in confronto alla gloria futura che dovrà rivelarsi in noi. La creazione stessa è nell''attesa della rivelazione dei figli di Dio; essa fu sottoposta alla vanità - contro il suo volere, ma per volere di colui che l''ha sottomessa - nella speranza che anch''essa, la creazione, sarà liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene che tutta quanta la creazione fino ad oggi geme nelle doglie del parto; né solo essa, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, noi pure interiormente gemiamo nell''attesa della redenzione del nostro corpo (Rom. 8,18, ss.; vers. UTET).
Sofferenze, inutilità, schiavitù, corruzione, travagli. Se si tende l''orecchio con sensibilità non si può non sentire, mescolato al dolore immenso del mondo, anche l''urlo muto del suicida - pensionato, imprenditore, operaio -, il grido addolorato di chi non ha un lavoro degno di questo nome, del disperato, dell''isolato dalla società opulenta, dello sfruttato (in Italia o in Perù, è lo stesso), di chi viene preso per il collo (a Nuoro o a Houston, è lo stesso), di chi è sottopagato (a Roma o a Pechino, è lo stesso), di chi lavora senza merito, di chi merita ma non trova lavoro...
Quest''urlo muto sale udibilissimo al Cielo e non resterà inascoltato: Parola di Dio. Si esige una risposta, il frutto di queste doglie di parto. La parola di Dio esorta a rimanere in attesa. Attesa speranzosa di liberazione e libertà reali. Attesa inesorabile come l''arrugginimento degli inutili tesori accumulati e dei salari frodati.
© 2012 - riproduzione riservata
Vedi allegato
Torna alle riflessioni