Riflessioni

Lamento di Dio e definizione di religione

Da un lamento di Dio la definizione di religione vera Oh avessero pur sempre un tal cuore, da temermi e da osservare tutti i miei comandamenti, per essere felici in perpetuo essi e i loro figli! (Deut 5,29). Questa esclamazione è la risposta accorata di Dio alla promessa che gli Israeliti fanno ai piedi del monte Sinai fumante e scosso dal terremoto. La loro promessa solenne è di “ascoltare e fare tutto ciò che l’Eterno ha detto” (Deut 5,27). L’esclamazione di Dio presenta un triplice carattere. Prima di tutto è un lamento, perché Dio sa che Israele non terrà fede alla promessa. Di fatto gli israeliti avrebbero poi rotto il patto con Dio dandosi all’idolatria, all’immoralità, attirandosi l’ira e la punizione divine. In secondo luogo, si tratta di un anelito o desiderio di Dio. Se gli uomini si perdono, si perdono per loro scelta libera e non perché l’ha voluto Dio. Scrive infatti Paolo apostolo che Dio “nostro Salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità” (2 Tim 2,3). Pietro apostolo ricorda la pazienza di Dio, il quale vuole “che tutti giungano a ravvedersi” (2 Pt 3,9). Terzo, quell’esclamazione ha il carattere della sollecitudine paterna, è espressione dell’amore divino, quello stesso amore che “non ha risparmiato il suo proprio Figlio, ma l’ha dato [in sacrificio] per tutti noi” (Rm 8,32). Ciò significa che Dio si strugge per l’umanità perduta con la cura, l’amore e la preoccupazione di un padre dal cuore spezzato – di qui il termine misericordia (letteralmente: cuore spezzato) – a causa di figli che si ostinano ad agire male, a operare in modo perverso contro di Lui, contro la Sua immagine che è l’uomo stesso, e quindi contro il loro stesso bene. Nel lamento di Dio è contenuta la definizione della religione vera per ciò che riguarda il centro, la motivazione e l’espressione della religione. 1. Il centro della religione è il cuore umano. Dio dice infatti “Oh avessero pur sempre un tal cuore…” La religione vera, quindi, è la religione del cuore. Non può essere ereditata, praticata per procura né espressa dalla semplice osservanza di forme ritualistiche. Essa deve sgorgare dal cuore. Nella mentalità semitica il cuore è la sede del pensiero, dell’intelletto, della volontà. La religione vera deve dunque impegnare l’intelligenza, le emozioni, la volontà, ed è al contempo intelligente, sincera e piena di significato. 2. La religione vera deve essere motivata dal timore di Dio. Dio infatti esclama “Oh avessero pur sempre un tal cuore, da temermi…” Il timore di Dio non è la paura vigliacca del criminale inseguito, ma è piuttosto il rispetto profondamente radicato e la venerazione verso Dio come nostro Fattore, Sovrano, Giudice e Salvatore. Ogni atto religioso deve scaturire dal rispetto verso di Lui, per le sue norme, per le sue istituzioni divine attestate nelle Scritture del Nuovo Testamento. Al contrario, ogni innovazione umana che ha tormentato il popolo di Dio fin dall’inizio è sorta dalla mancanza di rispetto verso Dio e i suoi criteri. Chi ha originato le numerose innovazioni può aver fatto altisonanti proteste di sincerità, d’amore e devozione per le sue invenzioni, ma alla radice – consapevolmente o meno – c’era la mancanza di rispetto verso Dio. 3. La religione vera esprime se stessa nella pratica dei comandamenti di Dio. Egli dice infatti “Oh avessero pur sempre un tal cuore, da temermi e da osservare tutti i miei comandamenti…” Ciò significa che non si può separare la religione dalla rivelazione. L’uomo non può mai conoscere la volontà di Dio se non per mezzo della rivelazione di Dio. La volontà divina non la si conosce né la si può conoscere intuitivamente. Dice bene il profeta: “O Eterno, io so che la via dell’uomo non è in suo potere, e che non è in potere dell’uomo che cammina il dirigere i suoi passi” (Ger 10,23). E Paolo apostolo corrobora quest’affermazione scrivendo: “Poiché visto che nella sapienza di Dio il mondo non ha conosciuto Dio con la propria sapienza, è piaciuto a Dio di salvare i credenti mediante la pazzia della predicazione” (1 Cor 1,21). Analogamente, dall’esclamazione divina in Deuteronomio, è evidente che Dio non consente preferenze umane o modifiche all’applicazione della Sua legge a seconda della situazione. La grazia divina provvede ampiamente alla imperfezione dell’uomo nell’attuare la volontà di Dio (Rom 5,20b), ma non permette la parzialità. Le imperfezioni sono il risultato del fatto che “la carne rende debole” la persona umana (Rm 8,3), ma la parzialità (scegliere di fare o di non fare la volontà di Dio) è il risultato del rifiuto volontario del diritto di Dio di governarci. Dio si aspetta le nostre imperfezioni, le conosce bene, e ha provveduto per esse mediante l’offerta del Suo stesso Figlio; ma non tollera la parzialità, la quale sovverte la maestà della Sua Norma e la forza del Suo governo. In Deut 5,29 l’espressione “tutti i miei comandamenti” impedisce all’uomo ogni forma di parzialità. La parola “sempre” esclude la possibilità di modifiche e applicazioni diverse a seconda della situazione. Una situazione può modificare la norma divina solo quando Dio stesso prevede contingenze o scelte all’interno della Sua legge, altrimenti la legge divina resta immutabile. Pertanto, non è legalistico anzi è perfettamente compatibile con la religione vera esigere un “così dice il Signore” per ogni opera o per ogni atto di culto. D’altro canto, anche le benedizioni della religione vera sono tali che colui/colei che la pratica eserciterà un’influenza positiva sugli altri, in particolare su quelli della propria famiglia. Infatti, nel brano del Deuteronomio che si sta considerando, Dio parla di felicità “per loro e i loro figli”. È stato detto che basta una sola generazione di giovani ai quali non sia stata insegnata la verità per originare una apostasia completa del popolo di Dio. Ma questa è pure la tragedia di tante famiglie in cui non esiste alcuna sensibilità verso la religione vera, cioè rivelata. È purtroppo la tragedia dell’ignoranza, i cui frutti sono sotto gli occhi di tutti. Se invece si ha cura di praticare la religione vera ne risulterà grande bene per i nostri figli e anche per noi. Gesù echeggia questi concetti quando afferma “così risplenda la vostra luce nel cospetto degli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il padre vostro che è nei cieli” (Mt. 5,16). Ciascuno è davvero il “custode” del proprio fratello/sorella (Gen 4,9). Si noti infine che le benedizioni della religione vera sono eterne perché spirituali, eterne come Dio stesso, il testo deuteronomico le definisce “perpetue”. È questa la verità di Dio in merito alla religione vera, per cui se la nostra religione è vera o falsa è una questione che dovrebbe rivestire la massima importanza per noi. Il problema può essere così formulato: abbiamo noi un cuore tale da temere Dio e da osservare tutti i suoi comandamenti, per essere felici in perpetuo noi e i nostri figli? © 2013 - Riproduzione riservata

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