Preoccupato di fare il bene
L’insonnia di Gesù
Il Vangelo attesta che Gesù ha “partecipato del sangue e della carne” (= è stato uomo) ed è stato reso in tutto simile ai suoi fratelli (Ebr. 2,14.17). Egli provò anche l’insonnia, e trascorse diverse notti in preghiera al Padre (Lc. 6,12). Un rapido sguardo alla prima sezione del Vangelo lucano (capp. 4-6) aiuta forse a comprendere meglio le ragioni di quelle notti trascorse in bianco.
La tentazione del guadagno facile (“dì che questa pietra diventi pane”), la tentazione del facile raggiungimento di potenza e gloria terrene (“ti darò tutto questo potere e gloria”), e persino la tentazione biblica sulla sua incolumità personale (“gli angeli ti porteranno sulle mani”) vengono superate da Gesù con grande forza d’animo e coraggio nonostante il lungo digiuno (Lc. 4,1 ss.). Ma nessuno meglio di Gesù sa che il diavolo si sarebbe ripresentato “in altra occasione”. E ciò non può non destare in lui preoccupazione.
In visita alla sinagoga nazarena, dove è cresciuto e dove tutti lo conoscono bene, Gesù presenta una lezione tratta dal profeta Isaia (61,1ss.). Dinanzi a un pubblico molto attento, Gesù afferma di essere proprio colui che inaugura l’anno di grazia del Signore (“oggi si è adempiuta questa scrittura”). La sua lezione è ottima. L’adempimento della profezia è inequivocabile. L’applicazione che egli fa del brano di Isaia è puntuale. Eppure il risultato è sconcertante: “Tutti furono pieni d’ira” contro Gesù, che viene cacciato dalla città per subire il primo tentativo di assassinio. Riesce a sfuggire, ma ciò non può non destare in lui forte preoccupazione.
Qualche tempo dopo guarisce all’istante un lebbroso (Lc. 5,13). Gli chiede di mostrarsi al sacerdote per certificare la guarigione secondo la legge di Mosè. Ciò dovrebbe servire a dimostrare la sua adesione personale alla legge di Mosè (“ciò serva loro di testimonianza”); ma riusciranno i sacerdoti a comprendere e accogliere l’opera divina di Gesù? Ecco un’altra ragione di preoccupazione. Pochi giorni dopo suscita meraviglia dottrinale nei pensieri di farisei e dottori della legge i quali lo sentono rimettere pubblicamente i peccati a un paralitico (Lc. 5,20) . Gesù, certo, dimostra poi la propria capacità di perdonare guarendo sull’istante il paralitico. Ma servirà questo segno a fugare i dubbi di scribi e farisei o, perfino un tale miracolo, non farà che aggravare la posizione di Gesù agli occhi carichi di pregiudizio della gerarchia ebraica? Gesù non può non essersi posto questa domanda con preoccupazione.
Anche la successiva chiamata di Levi Matteo e il convito che ne segue provocano mormorazioni calunniose contro Gesù e i discepoli (Lc. 5,30), ma è chiaro che l’opposizione contro di lui si fa di giorno in giorno più oscura e violenta. Gesù se ne rende conto. La sua stessa rilettura approfondita e non ipocrita del comandamento del sabato (i discepoli avevano preso delle spighe per sfamarsi con un po’ di grano, Lc. 6,1 ss.) gli permette di dichiarare: “Il Figlio dell’uomo è Signore del sabato”; ma dopo le polemiche precedenti si possono ben immaginare i volti e i pensieri di scribi e Farisei dinanzi a fatti e frasi che, a loro, apparivano come provocatorie.
In questa sezione di Luca, si raggiunge il colmo con la guarigione dell’uomo dalla mano destra rattrappita. Quale bene maggiore che restituire a un uomo la capacità di lavorare, permettendogli così di rientrare a pieno titolo nella sfera sociale? Ma ciò che è un bene per l’uomo è come fumo agli occhi per i dottori della legge e i farisei che “spiano” Gesù (Lc. 6,7). E la reazione loro è improntata a “furore”. Gesù se ne avvede. La sua preoccupazione cresce. I nemici stanno complottando per passare alle vie di fatto, discutono su “cosa avrebbero dovuto fare a Gesù” (Lc. 6,11).
Più Gesù si sforza di presentare la Parola in tutta fedeltà e onestà, più cerca di fare del bene, e più stranamente l’opposizione cresce, si attiva, si organizza. Gesù ha davvero di che essere preoccupato. Quando hanno dei pensieri, delle preoccupazioni dolorose, gli esseri umani stentano a dormire, soffrono di insonnia. È vero anche per Gesù. Ma, nonostante la preoccupazione, egli fa una cosa che ancor oggi riempie di dolce meraviglia e desta l’emulazione in noi: “egli se ne andò sul monte a pregare, e trascorse la notte nella preghiera con Dio” (Lc. 6,12; vers. F. Salvoni).
Non la “fama” (Lc. 4,37; 5,15), bensì la solitudine e la preghiera con Dio, l’intima vicinanza con Dio sono il segreto della forza di Cristo Gesù. Da Dio egli trae il coraggio e la potenza per affrontare i calcoli dei farisei, il pregiudizio degli scribi, la cattiveria dei gerarchi religiosi. Satana sta cercando un’altra occasione. E la troverà. Inoltre, se queste cose sono accadute a Gesù Cristo, accadranno necessariamente anche ai suoi discepoli (Gv. 15,20). È stato chiesto per quale ragione scribi, farisei e membri della gerarchia ebraica non riuscirono a capire le parole e i segni operati da Gesù. La risposta è facile e difficile al contempo: facile, perché ipocrisia, malvagità, pregiudizio (difesa del potere?) attengono alla pura negatività del male, e il male non ha una “ragione”, è soltanto banale; difficile, perché seguire il male nell’oscurità dei suoi meandri è tanto arduo quanto inutile, bisognerebbe diventare come lui…
Le vicende personali di Gesù e le sue preoccupazioni per i discepoli consentono un’ultima nota: guai a chi spia colui che parla liberamente; guai a chi cova il pregiudizio contro chi agisce per il bene; guai a chi s’infuria contro le pecore del Pastore. Il male cercherà e troverà pure le sue occasioni, ma il suo destino terribile è segnato. Dio è fonte inesauribile di coraggio, energia, vitalità, bontà, cordialità, serenità, gioia, fiducia. Il male può ferire il calcagno. Il Dio della pace vince e trita satana sotto i piedi dei cristiani (Rom. 16,20).
Torna alle riflessioni