Scelta per Cristo e comunione in Cristo
ROBERTO TONDELLI
Scelta e condivisione
Biblica 11
… ma voi non avete voluto! (Luca 13,34b)
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© Roberto Tondelli (2013) – Scelta e condivisione
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Si offre agli interessati la possibilità di conversazioni bibliche per approfondire la conoscenza di Cristo Gesù e imparare a fidarci di lui mediante l''Evangelo. Saremmo lieti di ragionare anche sul tema qui presentato, alla luce meravigliosa della Scrittura. Per appuntamenti rivolgersi ai riferimenti indicati.
ROMA, AGOSTO 2013
Scelta e condivisione
Mentre erano in cammino, [Gesù] entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c''è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,38 ss.).
Finché non spuntò il giorno, Paolo esortava tutti a prendere cibo: «Oggi è il quattordicesimo giorno che passate digiuni nell''attesa, senza prender nulla. Per questo vi esorto a prender cibo; è necessario per la vostra salvezza. Neanche un capello del vostro capo andrà perduto». Ciò detto, prese il pane, rese grazie a Dio davanti a tutti, lo spezzò e cominciò a mangiare. Tutti si sentirono rianimati, e anch''essi presero cibo (Atti 27,33 ss.).
Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi (Rom 14,7 s.).
Il Dio della rivelazione biblica ha sempre riconosciuto e garantito alla persona umana la possibilità e la libertà di scelta. A prescindere da ogni considerazione sul servizio svolto da discepole nella chiesa primitiva, la frase di Gesù esprime una lode a Maria seduta ai suoi piedi, in atteggiamento di grande attività interiore. La frase non è casuale, indica la dipendenza della discepola/discepolo dal maestro – anche di Saulo si dirà che era stato ai piedi di Gamaliele (Atti 22,38; cfr. Lc 8,35). Maria sceglie di dipendere da Gesù, per imparare da lui e poi divulgarne l’insegnamento. È una scelta di vita in cui riecheggiano accenti antichi, cari al cuore del vero israelita che vuole responsabilmente seguire il Signore. Era stata infatti la scelta fondamentale posta da Mosè: “Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità, per poter così abitare sulla terra che il Signore ha giurato di dare ai tuoi padri, Abramo, Isacco e Giacobbe” (Deut 30,19 s.). Ora qui, nel villaggio di Betania, c’è più che Abramo, più che Mosè, e la scelta di Maria diviene ancor più pregna di significato esistenziale, non solo per se stessa, ma anche per tutti coloro che da allora ne avrebbero imitato la scelta vitale incardinata in Gesù Messia.
Quante volte purtroppo noi cristiani dimentichiamo che proprio Gesù Cristo è l’oggetto della nostra libera scelta soggettiva, Lui e nessun’altra persona. E ci si lascia attrarre da persone e personalità capaci forse di determinare ‘eventi’ e ‘momenti speciali’ che hanno ben poco di speciale e molto di artefatto. Solo Gesù Cristo infatti può proporre la scelta vitale, ed è proprio ciò che fa in altra circostanza parlando a Marta: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo? [Marta] gli rispose: Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo” (Gv 11,25 ss.). Ai giudei Gesù dice: “Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso” (Gv. 5,26). A Toma Gesù dice: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6).
Purtroppo, queste espressioni sembrano essere diventate retorica pura, formule non significative destinate a momenti scelti: funerali, battesimi, comunioni, sermoni, omelie... Ma forse quelle parole non erano destinate alla banalizzazione. Ormai quasi più nessuno, ascoltandole, se ne lascia interrogare criticamente: Credi tu questo? Ecco la domanda che prende di petto proprio te e chiama proprio te al dialogo a tu per tu, anzi forse anche alla discussione accalorata e a molte altre questioni: perché proprio tu pretendi d’essere resurrezione e vita? Chi sei tu che accampi diritti? Perché Dio (e poi, quale Dio?) ti avrebbe concesso di avere addirittura vita in te stesso? E come puoi essere tanto esclusivista da affermare che nessuno può andare a Dio se non per mezzo di te? Saresti tu dunque l''unico ponte/fice (= colui che fa da ponte) per arrivare a Dio? Non sai forse che in questi secoli di mezzi e modi per andare a Dio la chiesa ne ha scoperti molti altri? molto più attuali di te e a noi molto più vicini di te?
Un credente perde la fede fiduciosa; ma, sia chiaro, prima della fiducia ha smesso di amare. Dice che non può farsi regolare la vita da uno che è vissuto duemila anni fa, da un libro scritto migliaia di anni fa. È libera scelta anche questa. Chi si chiude alla fiducia e all’amore in Cristo si predispone a un autoinganno efficace: “(...) non hanno accolto l''amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza d''inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all''iniquità”; e ancora: “Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi” (2 Tes 2,10 ss.; 1 Cor 15,33). Mai criterio di vita fu più inascoltato. Mosè aveva parlato di scelta vitale, ma anche di scelta mortale. Gesù approfondisce il concetto. Però l’obiezione va presa sul serio: Cristo è davvero antico, sorpassato, datato? Si affida la risposta alle parole di un uomo di pensiero:
“Gesù è vissuto così.
Certo, nei confronti dei grandi conquistatori, dei grandi rivoluzionari, Gesù sembra figura minuscola, perché si è chiusa la sua vita e tutto era come era da principio. La Croce del Golgota ha segnato la vittoria di quel mondo che Egli non è riuscito a cambiare. Così si potrebbe dire, in un’ottica di tipo razionalistico. Ma noi sappiamo che il messaggio di Gesù attraversa i secoli ed ha possibilità di entrare nel cuore di tutti i popoli perché coglie l’uomo nella sua condizione radicale, non già in una sua condizione storica, data, ma nella sua condizione radicale di progetto che tende ad adempiersi, ricadendo costantemente su se stesso in una specie di ripetizione dell’impotenza umana. Ma se noi siamo qui a ripeterci queste parole del Vangelo è perché non siamo stati sconfitti da questa esperienza del fallimento; non siamo così illusi da credere che domani faremo un mondo secondo Dio, ma non siamo così delusi da credere che non ci sia possibile ricominciare.
Ebbene, Gesù ha dato questa buona notizia, lo Spirito Santo la rende viva ed efficace in tutti i popoli (…). Occorre ricominciare daccapo. Occorre riconoscere che lo Spirito di Dio non fa preferenze di persona e che dunque il suo Regno si compie in tutti i luoghi, là dove non ce lo aspettiamo… Non possiamo rinnovare il progetto senza esserci convertiti al punto da calare nelle acque del Giordano, dove entrò un uomo sconosciuto, uno dei tanti, e su Lui si posò lo Spirito. La salvezza che Egli ha portato è appunto la salvezza che non avrà tramonto; perché il Regno di Dio cresce, la potenza di Dio lo custodisce e noi lo vediamo risplendere ogni qual volta crediamo nell’uomo al punto da modificare la nostra intelligenza arricchendola di questa intuizione che la fa essere del Regno.
Ecco perché non dobbiamo mai essere scoraggiati.
(…) noi siamo in qualche modo lambiti dalla luce di questo Regno nel momento in cui siamo poveri, incapaci, in cui ci sentiamo al limite della disperazione, in cui siamo come il Cristo nel Getsemani, nel momento in cui gli uomini che fanno il calcolo delle forze per lottare avrebbero detto: ‘Quello non conta nulla, non è più capace di nulla’. Sono quelli i momenti in cui dobbiamo riscoprire la sicurezza che ci viene dallo Spirito di Dio”.
Una certa visione rabbinica che voleva la donna incapace di apprendere e d’insegnare, non scoraggiò Maria nel suo discepolato dinamico (= seduta ai piedi di Gesù). Cornelio, la famiglia e gli intimi amici si mossero a scegliere la Via del Cristo, predisposti com''erano a lodare Dio persino prima di farsi battezzare (Atti 10,44 ss.). Uno che aveva rattristato Paolo e la chiesa (il fornicatore di 1 Cor 5?), scelse la Via della conversione, del ravvedimento, e cercò e trovò il perdono, e ritrovò l’amore dei fratelli e del Padre (2 Cor 2,5 ss.). Quando siamo deboli, allora siamo forti (2 Cor 12,10b), perché siamo in grado di riscoprire la sicurezza che ci viene dallo Spirito di Dio e di scegliere la vita.
Ma non si tratta di scelta isolata o isolante. Non è isolazionismo. Tutt’altro, la scelta in Cristo è sempre accompagnata da condivisione, cioè da partecipazione, da profonda comune unione (= comunione).
Paolo apostolo non sceglie certo lui di trovarsi su una nave in balia della tempesta in mezzo al Mediterraneo. Eppure, nonostante la situazione critica, eccolo pronto a dare consigli, a incoraggiare il centurione, i soldati e tutti i presenti a bordo. La sua scelta per Cristo si traduce qui in esortazione energica: “Mangiate, perché ciò contribuirà alla vostra salvezza”. E poi ecco la condivisione: “Ciò detto, prese il pane, rese grazie a Dio davanti a tutti, lo spezzò e cominciò a mangiare. Tutti si sentirono rianimati, e anch''essi presero cibo” (Atti 27,35 s.). La nave è molto lontana da Emmaus, dove si era svolto un altro attimo di culto rapidissimo e fortissimo, ma qui la Presenza del Signore è non meno forte. Al discorso di Paolo, forte e breve, seguono scelte precise, fattive. Il centurione cambia opinione. Ora si fida più di Paolo che del pilota e del capitano della nave (Atti 27,11). La tensione si allenta. La gente si rianima. La situazione critica si scioglie in un momento cultuale di ringraziamento (eucharístesen). Sono presenti tre soli cristiani e ben duecentosettantatre pagani, molti prigionieri. Quella tempesta benedetta fa saltare ordini del culto, sfascia cerimonie e riti e liturgie. Lascia intatta solo la forte condivisione incoraggiante. Che c''è di più bello che condividere parole, preghiere e pane? [Per chi non ne sente bisogno il pane di Cristo è verde di muffa]. Il cielo è plumbeo, il mare infuria, il momento è critico, ma il cibo condiviso restituisce le forze. “Tutti giunsero salvi a terra” (Atti 27,44). Una scelta forte e la condivisione di parole forti e di cibo fanno il miracolo. Che ringraziamento fu quello! Momento altissimo di spiritualità che sembrerà strano a menti uniformate, omogeneizzate, normate, chiuse.
Spesso ci si isola pensando che un dolore, un problema, un’angoscia ci dia questo diritto. È vero, talvolta occorre anche andarsene sul monte a pregare in solitudine, per stare con se stessi, rivalutare, riconsiderare, per parlare con Dio, per ascoltare Dio. Ma permanere nell''isolamento equivale a fare posto a satana. Occorre non dimenticare mai che la scelta per Cristo implica necessariamente condivisione.
C’è la condivisione del cibo, fondamentale per mantenere un clima che favorisca un’atmosfera distesa e la soluzione di possibili situazioni critiche. Non è un caso che Luca descriva così i credenti: “Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore...” (Atti 2,46).
C’è poi la condivisione della evangelizzazione, intesa non certo come ansia proselitistica bensì come testimonianza dinamica di fede:
Vi raccomando Febe, nostra sorella, diaconessa della Chiesa di Cencre: ricevetela nel Signore, come si conviene ai credenti, e assistetela in qualunque cosa abbia bisogno; anch''essa infatti ha protetto molti, e anche me stesso. Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa, e ad essi non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese dei Gentili; salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa. Salutate il mio caro Epèneto, primizia dell''Asia per Cristo. Salutate Maria, che ha faticato molto per voi. Salutate Andronìco e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia; sono degli apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me. Salutate Ampliato, mio diletto nel Signore. Salutate Urbano, nostro collaboratore in Cristo, e il mio caro Stachi. Salutate Apelle che ha dato buona prova in Cristo. Salutate i familiari di Aristòbulo. Salutate Erodione, mio parente. Salutate quelli della casa di Narcìso che sono nel Signore. Salutate Trifèna e Trifòsa che hanno lavorato per il Signore. Salutate la carissima Pèrside che ha lavorato per il Signore. Salutate Rufo, questo eletto nel Signore, e la madre sua che è anche mia. Salutate Asìncrito, Flegonte, Erme, Pàtroba, Erma e i fratelli che sono con loro. Salutate Filòlogo e Giulia, Nèreo e sua sorella e Olimpas e tutti i credenti che sono con loro. Salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo. Vi salutano tutte le chiese di Cristo (…). La fama della vostra obbedienza è giunta dovunque; mentre quindi mi rallegro di voi, voglio che siate saggi nel bene e immuni dal male. Il Dio della pace stritolerà ben presto satana sotto i vostri piedi. La grazia del Signor nostro Gesù Cristo sia con voi (Rom 16,1 ss.).
Si sottolineano i termini che indicano condivisione, compartecipazione profonda: raccomandare (in senso raccomandabile…), ricevere, assistere, proteggere, salvare, faticare molto, collaborare, lavorare e quel ripetutissimo salutare. In questo brano “chiese di Cristo” non può avere alcuna accezione denominazionale. L''espressione non richiama alcun movimento religioso di origine esotica. Asìncrito, Flegonte, Erme, Pàtroba, Erma, Filòlogo, Giulia, Nèreo e sua sorella e Olimpas e tutti i credenti lavorano e faticano per il Signore perché essi sono del Signore. Le chiese che essi formano sono del Signore.
Scegliere Cristo significa condividere la vita nel Risorto, comparteciparvi secondo sapienza divina; quindi senza clamori, senza eventi artificiosi, senza richiami speciali, senza effetti alone, senza autoglorificazione. Nella partecipazione umile alla notizia buona di Gesù, l’esistenza del credente segna il massimo della condivisione: per amore “farsi ogni cosa a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro” (1 Cor 9,22 s.). Perché scopo precipuo della partecipazione è la salvezza.
Una vita in cui la scelta per Cristo diviene condivisione e la condivisione irrobustisce quella scelta è una vita vissuta non per se stessi, ma per gli altri. Si può ora ri/leggere con calma l’ultimo brano citato all’inizio: “Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi”.
La Bibbia non fu scritta per essere semplicemente letta in chiesa, quasi fosse incatenata al pulpito o all’altare. Fu scritta per essere attuata nella vita quotidiana da persone non impeccabili, ma che hanno scelto Cristo e, spesso e volentieri, sentono di dovergli dire: “Signore, tu sai ogni cosa; tu sai che io ti voglio bene” (Gv 21,17b). Nessun discorso verace riguardante Cristo o ricevuto stando seduti ai suoi piedi dovrebbe terminare senza una scelta meditata e fattiva: pro o contro Cristo. Quel che manca oggi non sono tanto o solo i battesimi che seguano l''esortazione. Manca molto, molto, molto di più. Manca il ravvedimento in noi. Manca il cambiamento di mentalità. Occorre tornare alla lettura meditata della Parola; tornare a imparare ai piedi del Signore, a studiare con umiltà; tornare alla discussione sana sulle cose dette/udite; ravvivare l''interesse bruciante di contrastare con forza Cristo o di accoglierlo con gioia per amore; evitare la ripetizione pedissequa; evitare di dare tutto per scontato: citazioni, commenti, conclusioni; reagire allo stato anestetizzato delle menti; ascoltare volentieri anche chi dice qualcosa di diverso (valutandolo alla luce della Bibbia) da come si è sempre sentito dire; non aver timore di leggere, di studiare, di esaminare. Così si progredirà sulla via della ricerca biblica. Si sa che chi cerca con umiltà trova.
La mancanza di conoscenza genera illusioni. Talvolta ci si può persino illudere di potersi limitare ad ascoltare; si gioca per anni a fare gli uditori senza mai scegliere, quindi senza condividere realmente. C’è invece un momento preciso in cui il fiore dell’amore deve essere còlto, altrimenti si corrompe, s’inflaccidisce, s’incattivisce, impuzzisce, muore senza speranza di rinascere. L’egoismo impedisce di cogliere quel fiore. Si comincia poco a poco a vivere per se stessi, a guardare solo alle cose proprie, a vivere un’esistenza centrata su se stessi. Si diviene incapaci di gustare la condivisione. Si ode, ma non si ascolta. Si guarda, senza vedere, senza discernere (Mt 13,14; 1 Cor 11,29). E in questo stato si può persino morire. L’esempio e la parola di Cristo parlano in modo assai diverso.
La discepola e il discepolo di Cristo danno ascolto a Lui, e di conseguenza scelgono la condivisione salvifica. Vogliono imitare il discepolato di Maria, la fede di Marta, il servizio accurato del diacono/diaconessa Febe, vogliono lavorare e faticare nel Signore come Trifena e Perside. L’ozio, la rinuncia, lo scoraggiamento non sono frutti d’amore. I cittadini del Regno di Dio non sono come quei tali che, se in ufficio arriva un impiegato nuovo e attivo, lo scoraggiano finché quello non si adegua all''andazzo comune. I discepoli di Cristo sono consapevoli che Cristo Gesù è davvero il Signore dei morti e dei vivi. E noi, morti o vivi, siamo del Signore? Da questa domanda cruciale è possibile ricominciare daccapo.
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