Cronache di poveri cristiani/1
Cronache di poveri cristiani
Questa serie di brevi articoli (quello che segue è il primo) propone momenti di vita vissuta da credenti che, coi loro talenti e le loro lacune, ma sempre con l’aiuto del Signore, cercano di attuare l’Evangelo in un contesto sociale e religioso sempre più distratto, trascurato, dove le relazioni fra le persone sono talvolta motivate da interessi, superficialità, disumanità e, quasi sempre, da uno spirito contrario allo Spirito di Dio.
Per cercare di vincere bassi interessi, superficialità, disumanità e anticristianesimo, può essere utile la memoria, ricordare fatti e circostanze di questo o quel momento di vita. La società sembra affetta da Alzheimer indotto. Non vuole né ama ricordare. La memoria non conta. Vale ciò che è nato oggi. Interessa ciò che è recentissimo. Interessano i giovani (forse perché sono sfruttabili meglio?). Spesso anche le chiese che puntualmente “fanno memoria di Cristo”, dimenticano la amorevole serietà dell’Evangelo. Invece, ricordare può servire a rinsavire. Può servire a tornare a Dio, secondo il ricordo e la parola pensati dal figlio prodigo: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre (Lc 15,17 ss.). È questo un cammino in cui ci si potrebbe/dovrebbe ritrovare tutti quanti insieme.
I “due o tre” secondo Peppe
Era stato un uomo forte. Forte come uomini d’altri tempi. Quando era ancora in salute raccontava che da giovane, dopo la trebbiatura, sollevava come fuscelli i sacchi di grano da un quintale. Più avanti nella vita aveva imparato l’arte sapiente della potatura degli ulivi, che abbondavano nella sua Umbria. Ora era malato. Noi si sapeva che era alla fine. Nel piccolo appartamento di Pomezia, la moglie, Diletta, gli preparava il divano nel saloncino, in modo che durante il giorno non stesse relegato in camera da letto, ma potesse ricevere qualche visita come quando stava bene e potesse partecipare alla vita della casa.
Qui lo si andava a trovare, si parlava assieme di tante cose del passato, del sudore e della fatica durata sotto il sole; ma si diceva anche di cose del presente e del futuro, per esempio dei nipotini, il primo dei quali, amatissimo, era nato con un handicap. Si parlava anche dell’Evangelo, se ne leggeva qualche brano, si diceva qualche parola semplice rivolta a Dio nel nome di Cristo. E Peppe raccontava di preti che lui aveva conosciuto in Umbria, come quello che chiedeva troppo per fare la prima comunione alla figlia. Così lui e Dolcissima erano andati in un paese vicino, dove il prete si contentava di una cifra minore. Per le magre economie della famiglia era stato un risparmio. Poi si tornava a parlare del Vangelo, e del conforto di sapere che con Cristo la grazia di Dio, dono abbondante e gioioso, era stata manifestata a tutti gli uomini: dono gratuito per tutti coloro che lo apprezzano, salute spirituale a gratise per tutti coloro che ne abbisognano, riconciliazione morale regalata da Cristo a tutti coloro che la desiderano. A tutti coloro cioè che, liberamente ma responsabilmente, vogliono accogliere quel dono con fede ubbidiente, con fede fiduciosa.
Peppe era diventato un credente qualche anno prima, battezzandosi in Cristo alla maniera dei primi cristiani. Era stato l’ultimo del parentado a convertirsi. Si diceva che era un uomo duro. Invece aveva accolto la predicazione leggendo le Scritture con cura amorevole e aveva eliminato certa tradizione umana con la stessa semplicità con cui avrebbe staccato i ciccetti infruttuosi dai rami d’ulivo. Durante le conversazioni Peppe chiedeva ansioso: Ma i preti ce le sanno ''ste cose?! E si rispondeva: Le sanno, le sanno e le dicono... Ma forse sono presi in un modo che ostacola la larghezza, la profondità, l’altezza della grazia di Dio. Poi si tornava a leggere qualche brano del Nuovo Testamento, brani come questo: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,19).
Peppe commentava con semplicità: Ma qui si parla di preghiera! qui si parla di Chiesa! si parla di noi. È una gran fortuna avere avuto la possibilità di fare la Chiesa del Signore qui a Pomezia. Nel dire così, Peppe, senza saperlo, concordava perfettamente con tutti i biblisti. In Matteo 18 i “due o tre” sono proprio la Chiesa del Signore che, in un dato luogo, propone la propria testimonianza di Cristo e cerca di sensibilizzare il prossimo alla salvezza in Dio. Le chiese di Palestina e Siria, fra le quali il Vangelo di Matteo era diffuso, presentavano questa testimonianza forte e sicura perché, secondo la mentalità ebraica, era fondata sulla parola di “due o tre testimoni”, era cioè garantita.
Questa parola di Gesù non legittima perciò le piccole comunità separate, che spesso si formano più per ripicca che per amore. Quando alcuni membri si comportano in modo indegno di Cristo e vengono doverosamente allontanati dalla chiesa perché essi stessi si allontanano da Dio coi loro atti (così dice il contesto del brano di Matteo 18,19), Gesù li esorta non a formare conventicole, ma a ravvedersi e a tornare nella Sua chiesa.
Il brano di Matteo 18 è perfettamente compreso da tutti: Gesù parla della testimonianza della Sua chiesa. I “due o tre” non sono due o tre di numero, ma costituiscono realmente la Chiesa Sua in un dato luogo. Se si leggesse il passo in senso puramente letterale, si dovrebbe dedurre che a Gerusalemme, dopo la conversione dei primi tremila, si dovettero costituire mille comunità di tre membri ciascuna! A tale assurdità è di gran lunga preferibile l’interpretazione perfetta che di Matteo 18 dava il caro Peppe.
Il vero cristiano non distorce il testo del Nuovo Testamento a seconda della proprie convenienze. I discepoli del Signore rispettano lo Spirito di Dio che proferisce Parole di Dio. Travisare il senso del Vangelo è segno di instabilità e ignoranza profonde, equivale a preparare la propria rovina davanti a Dio (2 Pt. 3,16).
Occorre ricordare Gesù, l’ecce homo (ecco l’uomo) della sofferenza presentato da Pilato alla folla che, democraticamente, ne chiese la morte. Ma, secondo la parola apostolica, è bene anche “discernere il corpo del Signore” (1 Cor 11,29). Non certo quello piagato e sanguinolento di certa cinematografica insensatezza holliwoodiana, né quello più rassicurante dell’iconografia tradizionale del crocifisso o del sacro cuore. Tutto ciò è nonsenso se solo si pensa (e si crede) che Gesù di Nazaret è risorto da duemila anni ed è “Spirito” (2 Cor 3,17)!
“Discernere il corpo del Signore” significa discernere la chiesa Sua (1 Cor 10,17), l’insieme delle persone per le quali egli ha dato la vita Sua. Sta qui la motivazione vera e profonda per cui si è realmente chiesa di Dio. Sta qui la motivazione vera e profonda per cui bisogna ascoltare l’invito al ravvedimento rivolto dalla chiesa del Signore (Ap 22,17). Sta qui la motivazione vera e profonda per cui è peccato che credenti allontanatisi da Dio col loro comportamento indegno formino conventicole o comunità chiamandosi di Cristo; ed è peccato che siano sostenuti in quest’opera anticristiana invece che sollecitati al ravvedimento (Mt 5,23 s.).
Per tali motivi, è bene ricordare Cristo discernendo proprio Lui anche nelle membra del Suo “corpo”, cioè anche in quanti sono stati “uomini nuovi” in Lui. Essi, anche se morti, vivono in Lui, che afferma: “Chi vive e crede in me, non morrà mai” (Gv 11,26). Peppe credeva in Cristo. È vivo in Cristo. Ma la sua fede non gli risparmiò di morire fra dolori disumani, mentre sussurrava: Non me lo credevo… non me lo credevo!
All’ospedale si dovette discutere con un anestesista perché gli somministrasse non paliativi ma antidolorifici adeguati. Come Dio volle, Peppe riuscì – lui beato! – a addormentarsi nel Signore (Ap 14,13). Era venerdì 31 marzo, all’alba del nuovo millennio.
Riflettendo sul prezzo d’amore pagato dal Cristo per le persone – nelle loro sofferenze, fatiche, lotte, malattie, morte, vita – si può forse riuscire a far nostro il pensiero di ravvedimento del figlio prodigo per incamminarci “insieme” (Atti 2,44) verso la casa del padre.
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Cronache di poveri cristiani. I “due o tre” secondo Peppe
© Proprietà letteraria riservata – Roberto Tondelli, settembre 2013
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