Morale e giustizia. Grazia e legge. Un antico dibattito nuovo.
Morale cristiana e giustizia. Grazia e legge.
Un nuovo dibattito antico
Da: L’Unione informa 7 febbraio, 2011 [Unione Ebraica]
La morale cristiana è permeata da una concezione pessimistica della giustizia. È infatti la grazia che salva, non la legge. Sorta d’altronde sul rifiuto della Legge ebraica, la morale cristiana non pensa nei termini e secondo i criteri del giudizio. La sofferenza diventa segno di moralità e finisce quasi per fondare il diritto.
Da questo dogma religioso, che molti inavvertitamente finiscono per condividere nell’Europa post-cristiana (che dire poi dell’Italia?), derivano conseguenze etiche e politiche molto gravi. Se la giustizia, indubbiamente imperfetta, non può essere realizzata, né resa, allora viene confermata una scissione tra morale e giustizia. E se «la giustizia non è di questo mondo», allora la legge viene sminuita; si tende anzi ad aggirarla e infine ad abolirla. Lo scacco della legge è qui sempre in agguato insieme alla rivincita del colpevole.
Al contrario nell’ebraismo, dove ciascuno è giudicato secondo le proprie azioni, etica e giustizia restano inscindibilmente connesse. La legge mantiene la saldezza di un valore che accomuna e il risarcimento – anche dove il contesto è quello dell’imperdonabile – va considerato ed equamente quantificato. Perché si può e si deve pensare che la giustizia trionfi in questo mondo, non abbandonato al male radicale.
Donatella Di Cesare
(Professore ordinario di Filosofia Teoretica – Università La Sapienza, Roma)
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Nel sito indicato sopra si rinviene l’interessante nota della Prof.ssa Di Cesare, che ringraziamo per le osservazioni sulla morale cristiana. Anche se il suo intervento risale a qualche tempo fa, merita che si tenti di esprimere qualche breve cenno a scopo di chiarimento e, se possibile, anche di contributo al dialogo religioso ebraico-cristiano.
Se intendo bene, il punto fondamentale della nota è quel dogma religioso secondo cui la grazia che salva – e la morale che ne deriva – sarebbe sorta dal rifiuto della legge ebraica (torà).
È comprensibile che una certa tradizione teologica, corroborata purtroppo dalla generale poca familiarità coi testi, sembri confermare quel dogma. Tuttavia è lecito chiedersi: come mai le Scritture affermano che vi è un D-o soltanto, Colui che è D-o sia per i giudei sia per i gentili? È scritto inoltre che questo D-o renderà giusti (giustificherà) per fede fiduciosa sia i circoncisi sia gli incirconcisi. Bisogna quindi porre la domanda: ciò significa davvero l’annullamento della torà?
Evitando se possibile ogni preconcetto, cerchiamo di tener dietro al seguente ragionamento, piuttosto rabbinico in verità, e quindi non semplice, ma ben comprensibile:
Annulliamo noi dunque la torà per mezzo della fede? No di certo, anzi rafforziamo la torà. Che diremo dunque che abbia ottenuto Abramo, padre nostro secondo la carne? Poiché se Abramo fu giustificato per le opere, ha motivo di vanto; ma non davanti a D-o. Che dice infatti la torà? Abramo credette a D-o e questo gli fu messo in conto di giustizia (Bereshit/Genesi 5,6).
Ora, a chi lavora, il salario non viene computato a titolo di favore, ma come debito. Invece a chi non lavora, ma crede in colui che giustifica l’empio, la sua fede gli è messa in conto di diritto. Appunto come Davide canta la felicità dell''uomo, a cui D-o mette in conto la giustizia indipendentemente dalle opere: Beati coloro le cui iniquità sono state rimesse e i cui peccati sono stati coperti, beato l''uomo a cui il Signore non imputa il peccato (Tehillìm/Salmi 32, 1 s.).
Orbene, questa beatitudine vale per gli ebrei o anche per i pagani? Diciamo infatti: Ad Abramo la fede fu messa in conto di giustizia.
Come dunque gli fu messa in conto? Quando era circonciso oppure quando era incirconciso? Non quando era circonciso, ma incirconciso. Infatti ricevette il segno della circoncisione come sigillo della giustizia effetto della fede che aveva quando era incirconciso, affinché fosse il padre di tutti i credenti incirconcisi, onde anche a loro sia messa in conto questa giustizia, e il padre dei circoncisi che non solo provengono dalla circoncisione ma che camminano altresì sulle orme della fede che ebbe Abramo, nostro padre, quando non era ancora circonciso (Romani 3,29. 4,1 ss.).
Chi opera una scissione tra etica e giustizia – conseguenza presunta del dogma additato da Di Cesare – compie una violenza. È come scindere moglie e marito, corpo e spirito.
La giustificazione che si ottiene per imitazione attiva della fede dinamica di Abramo non può e non deve condurre la persona umana a profittare del dono (grazia) di D-o. Se così fosse, un circonciso o un incirconciso potrebbero permanere tranquillamente nel peccato affinché il dono (grazia) di D-o abbondi! Il che è assurdo, come rilevano anche le stesse Scritture cristiane (Romani 6,1).
Tutta la vita di colui/colei che imita la fede di Abramo deve tendere alla coerenza pratica con la volontà buona di D-o: sobrietà nel considerare se stessi, unione con gli altri, debito di operare il bene del prossimo proprio per adempiere così la torà (Cfr. Romani 12; 13,8 ss.)!
Ci si chiede: coloro che affermano il dogma della scissione tra etica e giustizia sono forse quei cristiani incirconcisi, e – chiedo venia – forse anche qualche confratello circonciso, i quali, religiosamente separati, vorrebbero una giustizia ridotta a mera osservanza di qualche decina di regole o forse di dieci comandamenti, adempiuti i quali ci si sente a posto? A posto? Davvero a posto con Adonai?
Quel dogma che Di Cesare menziona non sembra in armonia con le Scritture, e poco importa che molti lo accolgano, lo condividano, lo pratichino. La fiducia attiva del credente circonciso o incirconciso lo guida all’amore non ipocrita, alla condivisione con gli altri, alla rinuncia alla vendetta privata, perché sta scritto:
A me la vendetta, io darò la retribuzione (Devarìm/Deuteronomio 32,35). Anzi se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare, se ha sete, dagli da bere perché così facendo accumulerai carboni accesi sul suo capo (Mishlè/Proverbi 25,21-22).
Il dogma richiamato è estraneo alle Scritture, dunque è antiebraico e anticristiano. Il circonciso e l’incirconciso che possiedano la fiducia di Abramo non si fanno vincere dal male, ma vincono il male col bene. Fede fiduciosa e morale, giustizia e etica possono e dovrebbero andare d’accordo anche qui-e-ora, in questo mondo. Ecco lo scritto di uno dei primi discepoli di Gesù:
Certamente, se praticate la legge regale secondo la Scrittura: Ama il prossimo tuo come te stesso, agite bene; ma se fate discriminazioni personali, commettete peccato e dalla legge siete convinti di trasgressione. Infatti, chiunque osserva tutta la legge, ma manca in un solo punto, è trasgressore di tutti i comandamenti. Poiché colui che ha detto: Non commettere adulterio, ha detto pure: Non uccidere. Quindi se tu non commetti adulterio, ma uccidi, trasgredisci la legge. Così dunque parlate e agite come persone che debbono essere giudicate secondo una legge di libertà. Perché senza misericordia sarà la condanna di chi non ha avuto misericordia. La misericordia invece trionfa sulla condanna (Giacomo 2,8 ss.).
Questa morale cristiana sembra davvero «permeata di una concezione pessimistica della giustizia»? Sembra davvero questa una morale che «non pensa nei termini e secondo i criteri del giudizio»? Viene forse qui confermata la «scissione tra morale e giustizia»? e avallato come «religioso» un tale dogma? Sembra questa davvero una morale che consenta di «aggirare la legge e di abolirla»?
No, quella dettata dalle Scritture non sembra proprio una morale «permeata di una concezione pessimistica della giustizia». Essa è invece illuminata da ottimismo realistico e fiducioso. Fiducia nonostante il male. È giusto non abbandonare questo mondo al male, lottare anzi per il bene, sempre ricordando che: «D-o farà conoscere quelli che sono suoi (...) Si ritragga dall’iniquità chiunque invoca il nome di Adonai» (2 Tim. 3,19; cfr. Bemidbàr/Numeri 16,5. 26).
Si ringrazia la Prof. Di Cesare per la nota ha consentito questa breve precisazione.
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[R.Tondelli]
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