Chi è mio fratello…
Carissimo, che sorpresa m’hai fatto ieri, venerdì 9 maggio! Ero venuto a vederti, ma in ospedale ho trovato il letto tuo bianco e rifatto. M’avvio verso l’infermeria e mi chiedo se per caso t’abbiano già portato all’hospice. Entro e l’infermiera, compunta, mi fa: “è venuto a mancare questa mattina”. È venuto a mancare: tu intendi, vero?, l’assurdità della solita frase. Come se uno con la tua fede potesse mai venire a mancare. Ma poi mancare a chi? Adesso posso dirtelo, amico mio, mi sembravi così solo, così vecchietto, così bambino, che non so davvero a chi ora potrai mancare. Non certo a me che con Cecilia e qualche altro ti siamo stati vicini in questi giorni prima della tua partenza. Non certo a me che fino a qualche tempo fa ho gustato i tuoi discorsi e le tue ricerche su Cristo, sull’inizio e la fine delle cose. E sei stato consolazione vera mentre altri abbandonavano Cristo (“… e chi sono i miei fratelli?”). Non so se mancherai a quanti stavano aspettando il tuo mancare. Ora hanno un bel da fare con la tua bella casa – “tutta arredata, su un lato si vede il mare e sull’altro si vede la montagna!”, così la descrivevi estasiato –, col tuo conto bancario... Hai lasciato bei problemi davvero. Non sanno, loro, che tu hai appena guadagnato quel “guadagno grande” che è la morte per un cristiano. Non sanno, loro, quale cosa migliore è andare “con il Signore”. Ma come caspita fa a venire a mancare uno che è “con” Cristo? Poveri e nudi sono. Sono veri atei praticanti, purtroppo. Non sanno d’esserlo. Non sanno quello che sono. O forse lo sanno. Non sanno quello che fanno. O forse lo sanno. Tu li conosci, sai che ora sono tutti presi dagli ultimi santificati. Quindi non riescono neppure a immaginare che tu, vecchio rompiscatole con le tue fissazioni sull’Evangelo, possa stare ben più vicino a Cristo dei santificati. C’è da capirli. Capirli, non giustificarli. Sono così. Sanno essere solo così. A-cristiani. A proposito, questo non lo sai, ma ti hanno fatto pagare le tue fissazioni. Cioè, ci hanno provato. Avevamo un accordo, tu e io. Mi avevi chiesto di dire due parole quando fosse venuta l’ora. L’ora è venuta, ma tuo fratello (“… e chi è mio fratello?”) mi ha informato di aver ricevuto una tua lettera in cui chiedevi il funerale col prete. Altra assurdità, come quella dell’infermiera, è venuto a mancare. Ho mostrato di crederci. Oggi c’è stato il tuo funereo funerale. Io sono mancato. Tu eri altrove, affidato a cure più sincere, e non ti sei accorto di nulla. Ma loro sono riusciti a mancare di rispetto a te, alle tue convinzioni profonde. Hai ragione, non c’è da meravigliarsi. I cattolici (almeno alcuni) sono fatti così. Non danno retta nemmeno al loro papa che parla loro di bontà e generosità, di volersi bene e rispettare persino i diversi. E perciò anche i diversi in fede... Ma loro niente. Non ci sentono. O forse ci sentono? Chissà! Che importa? Ma sì, ogni tanto, si può anche dire come dice Gesù: “Che t’importa?” Tanto a te incenso e acqua santa non ti hanno fatto neppure il solletico. Eri altrove, in piacevole compagnia. Dato che io invece non ho ancora questa gioia, permettimi il solito peccato d’orgoglio. Ebbene sì, avevo pensato proprio a due parole buone. Non avrei parlato di te, certo, ma avrei detto qualcosa su Cristo Santo, Vescovo, Mediatore unico, Intercessore insostituibile, Sacerdote Sommo, Avvocato nobile. Poi avrei detto del suo Spirito che, così pare, continua ad aleggiare sulla superficie del caos dell’ignoranza di questo religioso paese dei campanelli: una colomba bianca entrata per sbaglio in uno stanzone e non riesce più a uscire e sbatte contro i vetri chiusi e tutti la vogliono afferrare e così le fanno male fino a farla sanguinare. Ricrocifiggono il crocifisso. Infine avrei detto del Papa nostro che è nei cieli e che ha cura di tutti come dei suoi “passeri”. Lui pure molto più inascoltato ignorato scacciato che non l’altro papa… Tu sai bene, me l’hai detto spesso, che parenti e amici non avrebbero apprezzato. Twittano ma non ascoltano. Grattano ma non ascoltano. Perché dunque gettare perle a chi non le apprezza? Eppure, alla Sua Parola, getteremo ancora le reti… Che dirti? Non posso salutarti, perché ora in salute ci sei. Ti basti un ciao, fraterno amico, mentre riecheggia in me l’ultima parola che hai sussurrato di continuo finché hai avuto fiato: “Dio… Dio… Dio… Dio…” È tuo il sermone più bello. Grazie assai.
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