Luciano e Osea
Luciano e Osea
Luciano (125 d.C., Samosata – 180 d.C. Atene) fu scrittore e retore greco, scrittore di testi satirici, filosofo. Avrebbe potuto benissimo trovarsi a far parte del pubblico che ebbe la ventura di ascoltare il discorso tenuto da Paolo di Tarso sull’Areopago di Atene (Atti 17). E non è detto che non lo abbia almeno letto. Qualche giorno fa un brano della sua opera Non si deve credere facilmente alla calunnia è stato oggetto di traduzione all’esame finale nei licei classici. Lo riportiamo nella versione originale e nella traduzione della Prof. Franca Gusmini, del Liceo Classico Tito Livio, Milano.
L’ignoranza acceca gli uomini
∆εινόν γε ἡ ἄγνοια καὶ πολλῶν κακῶν ἀνθρώποις αἰτία, ὥσπερ ἀχλύν τινα καταχέουσα
τῶν πραγµάτων καὶ τὴν ἀλήθειαν ἀµαυροῦσα καὶ τὸν ἑκάστου βίον ἐπισκιάζουσα. Ἐν
σκότῳ γοῦν πλανωµένοις πάντες ἐοίκαµεν, µᾶλλον δὲ τυφλοῖς ὅµοια πεπόνθαµεν, τῷ
µὲν προσπταίοντες ἀλόγως, τὸ δὲ ὑπερβαίνοντες, οὐδὲν δέον, καὶ τὸ µὲν πλησίον καὶ
παρὰ πόδας οὐχ ὁρῶντες, τὸ δὲ πόρρω καὶ πάµπολυ διεστηκὸς ὡς ἐνοχλοῦν δεδιότες•
καὶ ὅλως ἐφ’ ἑκάστου τῶν πραττοµένων οὐ διαλείποµεν τὰ πολλὰ ὀλισθαίνοντες.
Τοιγάρτοι µυρίας ἤδη τοῖς τραγῳδοδιδασκάλοις ἀφορµὰς εἰς τὰ δράµατα τὸ τοιοῦτο
παρέσχηται, τοὺς Λαβδακίδας καὶ τοὺς Πελοπίδας καὶ τὰ τούτοις παραπλήσια• σχεδὸν
γὰρ τὰ πλεῖστα τῶν ἐν τῇ σκηνῇ ἀναβαινόντων κακῶν εὕροι τις ἂν ὑπὸ τῆς ἀγνοίας
καθάπερ ὑπὸ τραγικοῦ τινος δαίµονος κεχορηγηµένα. Λέγω δὲ καὶ ἐς τὰ ἄλλα µὲν
ἀποβλέπων, µάλιστα δὲ ἐς τὰς οὐκ ἀληθεῖς κατὰ τῶν συνήθων καὶ φίλων διαβολάς,
ὑφ’ ὧν ἤδη καὶ οἶκοι ἀνάστατοι γεγόνασι καὶ πόλεις ἄρδην ἀπολώλασι πατέρες τε κατὰ
παίδων ἐξεµάνησαν καὶ ἀδελφοὶ κατὰ τῶν ὁµογενῶν καὶ παῖδες κατὰ τῶν γειναµένων
καὶ ἐρασταὶ κατὰ τῶν ἐρωµένων• πολλαὶ δὲ καὶ φιλίαι συνεκόπησαν καὶ ὅρκοι
συνεχύθησαν ὑπὸ τῆς κατὰ τὰς διαβολὰς πιθανότητος.
Luciano
Traduzione
L’ignoranza è un male veramente terribile e fonte di molte disgrazie, perché versa una sorta di nebbia sulle nostre azioni, oscura la verità, getta un’ombra sulla vita di ciascuno. E davvero assomigliamo a chi brancola nel buio, anzi, siamo nella condizione dei ciechi: sbattiamo senza riflettere contro un ostacolo, un altro lo scavalchiamo senza che ce ne sia bisogno, e non vediamo quello vicino, proprio ai nostri piedi, mentre temiamo come se ci minacciasse quello lontanissimo; insomma, non smettiamo di inciampare nella maggior parte delle nostre azioni. E proprio questa inclinazione ha offerto materia inesauribile ai poeti tragici (ad esempio) i Labdacidi, i Pelopidi e cose simili: (a ben pensarci) si scoprirà infatti che la maggior parte dei drammi messi in scena sono allestiti dall’ignoranza, come una sorta di divinità tragica. Lo dico pensando anche al resto, e soprattutto alle accuse false contro parenti e amici, a opera delle quali sono andate in rovina casate, sono state rase al suolo città, dei padri si sono scatenati contro i figli, dei fratelli contro i fratelli, dei figli contro i padri, degli amanti contro gli amati; e molte amicizie sono andate in pezzi, e si sono sciolti giuramenti, per aver creduto alle calunnie.
Il tema dell’ignoranza è ben presente nel testo biblico, sviscerato e combattuto da quel Dio che sempre cerca di e/ducare la propria creatura conducendola fuori dallo stato di ignoranza.
Già Osea dichiarava senza mezzi termini che il popolo di Dio perisce “per mancanza di conoscenza”. Non si tratta certo qui di proporre e desiderare la “conoscenza che inorgoglisce”, di cui parla Paolo condannandola. Tutt’altro. Pietro, nel famoso brano in cui menziona gli scritti di Paolo (“nei quali vi sono alcune cose difficili da capire”) afferma pure che “uomini ignoranti e instabili” contorcono quegli scritti, “come anche le altre scritture”, vale a dire gli scritti biblici più semplici. Gesù stesso non loda l’ottusità dei dottori del suo tempo che studiavano le Scritture senza riuscire a discernere – per la loro ignoranza, madre del pregiudizio – che le Scritture stesse annunciavano proprio lui, cioè Cristo Gesù. Dinanzi alla saggezza espressa tanto da Luciano quanto dalla Bibbia, numerose domande si affollano alla mente. Se ne propone qualcuna.
Qual era il grado d’ignoranza di quel tale che, in tribunale, alla domanda del giudice: “Mr Russell, vuole per favore dire alla corte l’alfabeto greco?” balbettò qualcosa e fece perfetta scena muta? Eppure quel religioso fondò una numerosa setta moderna.
Qual è il grado di conoscenza/ignoranza di chi afferma di svolgere il servizio di evangelista senza saper leggere né tradurre neppure un brano semplice del testo biblico dall’originale? Talvolta senza sapere neppure esprimersi in un italiano corretto?
Paolo apostolo esorta l’evangelista a leggere, esaminare, studiare; ma quale può essere, per dirla con Luciano, la tenebra e quindi la cecità di chi, non leggendo, non studiando, non esaminando, avanza la pretesa di guidare altri ciechi sulla via di Dio? E come mai invece di leggere, studiare, esaminare, spesso chi si presenta come insegnante (“prof.” o “teologo”) non fa che ripetere banalità e luoghi comuni, mentre dovrebbe annunciare “oracoli di Dio”? e dovrebbe pure essere in grado di articolare un discorso mostrando la complessità dell’argomento, lo status quaestionis, la conoscenza delle più recenti ricerche sul tema, mentre ignora bellamente tutto ciò!?
È mai pensabile che basti l’uso di diapositive (computer, proiettore) per celare talvolta una povertà di contenuti spaventosa mascherata da semplicità evangelica?
A proposito di semplicità. La favola dei primi cristiani umili e ignoranti va sfatata. È vero che molti discepoli delle prime generazioni venivano dalle classi più umili del popolo; è vero che Maria ed Elisabetta, Giuseppe e Zaccaria erano persone umili; ma è pur vero che costoro erano buon conoscitori delle Scritture nella lingua originale (o vicina ad essa). Il pescatore Pietro aveva piena competenza della propria lingua madre e conosceva almeno un po’ di greco, e forse anche un po’ di latino. Luca, Apollo, Matteo erano persone di cultura. Tito, Timoteo, Tichico avevano studiato e praticato alla scuola del colto rabbino Paolo di Tarso, cosa che oggi, mutatis mutandis, purtroppo non hanno fatto molti che si propongono come maestri e predicatori e insegnanti. Quante volte oggi l’ignoranza si coniuga con presunzione e supponenza, purtroppo?
Che ci sia una certa differenza tra semplicità e semplicioneria? Manzoni guarda con ironico occhio benevolo al suo Renzo che si allontana: “Va’, va’, povero untorello, non sarai tu a spiantare Milano”. Ma quanti semplicioni pensano di poter spiantare Milano mentre non sanno neppure insegnare a se stessi, e finiscono per far la fine dei quattro amici al bar, cantati da Gino Paoli, che pensavano di cambiare il mondo…
E tuttavia bisogna chiedersi: qual è il prezzo, in termini di conoscenza e stabilità morale e spirituale, che pagheranno quanti vengono “ammaestrati” da persone ignoranti?
Come è mai possibile affermare di insegnare quando si mostra una mancanza di familiarità grave con qualsiasi testo letterario (biblico o meno)?
La domanda capitale potrebbe porsi così: l’ignoranza è davvero scusabile e accettabile in ambito biblico-religioso? E se lo è, come mai essa non è assolutamente scusabile né accettabile in un medico generico o specialista, in un ingegnere, in un avvocato e in qualsiasi altro campo dello scibile umano?
In una recente intervista il musicista di fama internazionale Ennio Morricone spiegava la fatica della sua ricerca musicale, del suo studio, e il risultato di tutto ciò. Concludeva che questa sua fatica la faceva per restituire dignità al lavoro del musicista! Ecco un bell’esempio di non-ignoranza, cioè di vera cultura, la quale sempre è umile, al contrario dell’ignoranza che sempre è presuntuosa. Non sarebbe bello se questo esempio fosse imitato anche da chi desidera insegnare il testo biblico? Come mai si assiste invece alla presenza e alla circolazione di figure che, prive di ogni preparazione, si propongono quali ministri, evangelisti, insegnanti, predicatori? Qual è mai la dignità di un’opera attuata da persone che non ricercano, non studiano, non leggono un libro che sia uno, ignorano che cosa sia la fatica sul testo biblico originale, o la comparazione tra versioni?
Ma sono davvero tutti medici? tutti ingegneri? tutti avvocati in questo Bel Paese? tutti predicatori, tutti insegnanti, tutti evangelisti? Proprio come siamo tutti tecnici di calcio. Qual è mai la dignità di un’opera che anche l’ignorante può pretendere di attuare rimanendo tale? Non è questo uno svilire il lavoro di chi insegna con competenza e capacità?
Perché il criterio della formazione continua non dovrebbe essere richiesto anche a chi pretende d’insegnare la Bibbia?
Non può darsi che proprio l’ignoranza sia madre di accuse false contro parenti e amici e fratelli? Non è probabile che proprio l’ignoranza generi quella instabilità che provoca la rovina di famiglie? Non è per ignoranza che spesso inciampiamo nelle nostre stesse azioni e invece di edificare distruggiamo? Parafrasiamo l’ottimo Luciano: per ignoranza sono state distrutte chiese (gli ignoranti più non se ne ricordano), padri si sono scatenati contro i figli, fratelli contro fratelli, figli contro i padri, molte amicizie sono andate in pezzi, e si sono sciolti giuramenti, per aver ascoltato e creduto a calunnie.
Il popolo perisce per mancanza di conoscenza, aveva predicato Osea. Come mai se si offrono o le ostriche o i lombrichi gli ospiti gradiscono in entrambi i casi, senz’accorgersi della differenza? Forse quella di Osea è una profezia che si adempie in pieno anche al giorno d’oggi? Che abbia ragione Luciano nel dire che l’ignoranza acceca gli uomini? Se è così, allora bisogna ricordare l’avvertimento di Gesù: non farsi guidare da ciechi. Sono una marea. Ma dove c''è sapienza c''è umiltà.
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