Riflessioni

Zàgara 2014

BIBLIOTECA BIBLICA STORICA E RELIGIOSA ___________________________________________ ROBERTO TONDELLI Zàgara 2014 Questi contributi, apparsi su Libertà Sicilia nel 2014, sono dedicati alle «pietre viventi» che parlano con umiltà e sapienza, testimoniando con la vita che la parola di Gesù Cristo è vita. ___________________________________________________________________________ BIBLIOTECA BIBLICA STORICA E RELIGIOSA Largo Goffredo Mameli, 16A I - 00040 Pomezia, Roma chiesadicristo@alice.it tel.: 339 5773986 Zàgara 2014 Proprietà letteraria riservata © 2014 Roberto Tondelli Tutti i diritti sono riservati. È pertanto vietata la riproduzione, l’archiviazione o la trasmissione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, comprese la fotocopia e la digitalizzazione, senza l’autorizzazione scritta dell’Autore. SIRACUSA – POMEZIA, GENNAIO 2015 Cristo Gesù e la fede “La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono. Per mezzo di questa fede gli antichi ricevettero buona testimonianza (…). Per fede Mosè, appena nato, fu tenuto nascosto per tre mesi dai suoi genitori, perché videro che il bambino era bello; e non ebbero paura dell’editto del re. Per fede Mosè, divenuto adulto, rifiutò di esser chiamato figlio della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio piuttosto che godere per breve tempo del peccato. Questo perché stimava l''obbrobrio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto; guardava infatti alla ricompensa. Per fede lasciò l’Egitto, senza temere l’ira del re; rimase infatti saldo, come se vedesse l’invisibile. Per fede celebrò la pasqua e fece l’aspersione del sangue, perché lo sterminatore dei primogeniti non toccasse quelli degli Israeliti. Per fede attraversarono il Mare Rosso come fosse terra asciutta; questo tentarono di fare anche gli Egiziani, ma furono inghiottiti (…). Altri [testimoni della fede], infine, subirono scherni e flagelli, catene e prigionia. Furono lapidati, torturati, segati, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati - di loro il mondo non era degno! -, vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra. Eppure, tutti costoro, pur avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono la promessa: Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi. Anche noi dunque, circondati da un così gran nugolo di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio” (Epistola agli Ebrei, dai capitoli 11 e 12). Questo brano dell’Evangelo presenta la definizione di fede come fiducia in Dio. Una fede non certo vaga né passiva, ma anzi dinamica, attiva. Questa fede nobile coincide con l’azione compiuta, per esempio, dai genitori di Mosè e poi da Mosè stesso e da tanti altri testimoni della fede di cui parla l’Antico Testamento. Molti di loro, purtroppo sono sconosciuti ai cristiani di oggi, che si contentano spesso di una fede larvata, festiva, annuale, augurandosi sempre di non dover soffrire troppo per la fede e anzi accomodandosi le cose in modo tale da non dover mai pagare per la propria fede. Una fede così ha ben poco a che vedere con la fede vera in Dio e in Cristo Gesù. La fede non si vergogna di essere diversa dalle credenze comuni nel mondo attuale. La fede verace non è frutto d’ignoranza, non è attaccata a vuote tradizioni umane. La fede viene dall’udire la Parola del Cristo, e solo la sua, come è espressa negli scritti del Nuovo Testamento. Ignorare la Bibbia è ignorare Cristo stesso (Girolamo). Credere non significa pensare semplicemente che “esista un essere superiore…”. La fede è forza spirituale che prorompe e diviene azione, fatto positivo e costruttivo secondo il volere di Dio espresso nelle Scritture. La fede non teme di confrontarsi con la ragione e con la scienza. Il creato è opera di Dio, ciò che vi esiste viene dalle sue mani ed è in armonia con la norma bellissima della fiducia in Lui. Si può imparare a confidare in Dio non solo nei momenti lieti della vita, ma anche nelle circostanze più avverse e anche nella stessa morte. Gesù Cristo fece proprio così. Egli confidò in Dio quando dovette risuscitare Lazzaro o quando annunciò l’Evangelo ai poveri o quando guarì i lebbrosi. Ma confidò in Dio anche in punto di morte, dopo aver ubbidito al Padre per tutta la vita. Il brano della Lettera agli Ebrei si conclude con il massimo testimone della fede: Cristo Gesù. Egli oggi è seduto alla “destra del trono di Dio”. Questa espressione tecnica indica che Cristo Gesù ha oggi ogni autorità in cielo e in terra, come egli stesso dice alla fine dell’Evangelo di Matteo. Questo Gesù Cristo è autore di una salvezza eterna per tutti coloro che si avvicinano a Lui per fede, fondando la fede sulla Sua Parola buona. Credenti uniti in Cristo Rileggiamo qualche brano della lunga preghiera fatta da Gesù al Padre poco prima del suo arresto: “Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te. Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo (…). Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro; essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi (…).Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi (…). Ma ora io vengo a te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato a loro la tua parola (…). Consacrali nella verità. La tua parola è verità (…). Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me. Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (Gv,17). Sembra che l’uomo tenda all’unità; ad esempio l’unità imposta dai grandi imperi del passato (Napoleone, Stalin) e dai grandi imperi economici attuali (globalizzazione). Ma sembra anche che si tenda all’unità con mezzi e modi e per scopi sempre erronei. Chiese e religioni tendono anch’esse all’unità, e il risultato è visibile. Ma ecco che Cristo Gesù prega e propone una unità specialissima. Occorre conoscere Dio per studio ed esperienza; è questa la vita piena e vera (oppure la vita chiusa in se stessa vissuta da molti?). Occorre conoscere Cristo Gesù per studio ed esperienza; per imparare umilmente da lui, unico maestro di verità e sapienza (oppure da maestri umani?). Bisogna imparare a fidarsi di Cristo Gesù che ci mostra Dio: unico Dio di tutti coloro che lo cercano e lo amano. Bisogna saper gustare e apprezzare la verità che è solo in Cristo Gesù, solo nella parola di Dio (oppure nei concetti e nelle tradizioni umane?). Occorre poi rendersi conto che Gesù ha pregato per chi crede in lui: quindi una preghiera esaudita, perché fatta dal Figlio di Dio. L’unità di Gesù è unità nella parola che è “la” parola di Dio rivelata in Cristo Gesù (oppure in parole diverse dalla sua parola eccellente?). Occorre imparare ad amare come Dio ha amato Cristo: imitarlo ogni giorno. Si deve essere consapevoli che Dio ha mandato Gesù: è lui il Santo e il Mediatore unico. Bisogna dare poca importanza al fatto che il mondo rifiuta Dio: la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non la accolgono, scrive Giovanni. Occorre chiedersi: che cos’è questo amore in Dio? Un romantico sentimento o una pratica esistenziale? Bisogna dare buona testimonianza di vita in Cristo, uniti a lui come tralci alla vite. Dio incoraggia l’unità da lui proposta col suo consiglio saggio. Usciamo dalle gabbie dell’egoismo per essere trasportati nel reame di Dio mediante la forza di Cristo Gesù. Coraggio! L’invito cordiale nella grazia di Dio è esteso a uomini e le donne di buona volontà. Sulla Lettera di Paolo apostolo agli Efesini La foto mostra il papiro Luigi Malerba, riproduzione della lettera di Paolo agli Efesini. La si può ammirare al Museo del Papiro (Siracusa). L’originale è conservato presso il Museo di Pennsylvania (Philadelphia). Leggere oggi la Lettera agli Efesini è davvero un’esperienza unica, affascinante, anzi liberante! Eccone qualche brano. Dio ci ha fatto conoscere “il mistero della sua volontà… per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero di cui vi ho scritto… il mistero è stato ora rivelato…”. Queste espressioni sono tratte dalla lettera che Paolo apostolo scrive ai cristiani di Efeso intorno agli anni 50 del primo secolo. Gli storici delle religioni ci informano come in quel periodo di tempo fossero diffusissime le religioni del “mistero” dette appunto misteriche: riti e cerimonie per pochi iniziati, salvezza (sotería) per pochi eletti. La salute spirituale apportata da Gesù Cristo, al contrario, non è per nulla misteriosa, anzi è perfettamente svelata, rivelata. La salute spirituale non è affatto solo per pochi eletti, dotati di una conoscenza (gnosi) particolare, ma la salvezza in Cristo Gesù è per tutti, per giudei e per pagani, riconciliati e riuniti in un solo corpo unico con Dio. Effettivamente uno dei messaggi stupendi della lettera di Paolo agli Efesini, ispirata da Dio, è proprio questo: in Cristo Gesù e nella chiesa sua non vi sono “misteri”, vi è invece la RIVELAZIONE PERFETTA della volontà buona di Dio che chiama la persona umana ad essere vivificata con Cristo mediante la conoscenza dell’Evangelo (notizia di BONTÀ) e la conversione (metànoia), cioè il cambiamento di mente e comportamento prodotto dall’amore di Dio, che va preso sul serio adesso. Una certa abitudine e un certo gusto per la religione misteriosa o misteriosofica, fatta di messaggi misteriosi, di segreti sibillini è rimasto. Spesso per religione s’intende proprio qualcosa di misterioso, di inconoscibile. Un certo modo di pensare Dio lo rende tuttora “ignoto” o “nascosto”. Il Vangelo, invece, non accoglie misteri, presenta Dio che si rivela perfettamente in Cristo, il quale dona a tutti la Sua parola sapiente e umile. Solo Dio, anzi esclusivamente Dio, può realmente benedire gli uomini di “ogni benedizione spirituale in Cristo” (Ef 1,3). Non trascuriamo queste benedizioni veraci di Dio. Di queste benedizioni attualissime si parla negli incontri comunitari aperti a tutti. Quel Capo unico e così diverso La Lettera di Paolo apostolo agli Efesini presenta sei brevi capitoli. La prima sezione (capitoli 1-3) ha carattere dottrinale, la seconda (capitoli 4-6) espone in forma esortativa il consequenziale comportamento dei credenti. Il cuore della prima parte mostra il progetto buono di Dio: raccogliere sotto un solo capo, Cristo, ogni cosa che è nei cieli e in terra (1,10). Peccato che gli uomini vogliano sempre darsi altri capi che sembrano rispondere al loro desiderio di unità e ignorino spesso il capo unico di tutti che è il Cristo: un capo che dona se stesso per tutti, un capo che vuole la libertà di tutti. Un capo ben diverso dai capi umani che noi spesso decidiamo di servire. Gesù Cristo, infatti, è l’unico che ha donato se stesso per noi. L’unico che è risorto alla gloria di Dio. L’unico mediatore che intercede per noi. La seconda parte della lettera agli Efesini elenca i sette elementi su cui si incardina l’unità dei credenti in Cristo (4,4 ss.). Un solo corpo, cioè una chiesa/comunità che realmente appartenga al Cristo perché attua il bene secondo Cristo; un unico Spirito, che ancor oggi è in grado di parlare al cuore della persona umile mediante la parola di verità che è parola di Dio, presentata nelle Scritture; un’unica speranza, che è quella della vita piena – eterna – presso Dio, al di là del male e delle sofferenze attuali; un solo Signore, cioè Cristo Gesù, il Risorto Figlio di Dio, la cui risurrezione anticipa e garantisce quella di tutti; una sola fede, quella tramandata una volta per sempre ai credenti mediante l’Evangelo, che è unico e ben comprensibile; un solo battesimo, cioè l’immersione o rinascita battesimale che ancor oggi il credente ravveduto attua per innestarsi a Cristo; un Dio unico, Padre santo e unico di tutti. Egli chiama ciascuno mediante la parola di Cristo affinché ogni persona segua ciò che è bene, si innamori del bene e del “Buono” e lo attui nella propria esistenza con l’aiuto di questo unico e insostituibile Santo Padre. Peccato che questi sette elementi fondativi dell’unità in Cristo abbiano subìto nel tempo trasformazioni così profonde da renderli irriconoscibili. Tali trasformazioni hanno generato molti dei mali attuali. Solo il ritorno al Nuovo Testamento potrà restituire una fede sana e una relazione santa col Padre Santo che ci ama e col prossimo fatto a sua immagine. Pitagora e Cristo È noto l’interesse che il filosofo e scienziato Pitagora (ca. 570 a.C. – 495 a.C.) nutrì per l’unità, non solo in termini matematici ma anche filosofici e religiosi. Se Dio è, deve essere Uno. Anche nell’ambito della religione greca – che disinvoltamente definiamo pagana – la medesima idea non era del tutto soffocata dal politeismo. Zeus aveva in mano una grossa catena e, volendo, poteva strattonarla e attirare a sé tutti gli altri dèi, quasi a ricomporre una unità perduta. Tutti conosciamo il “Padre nostro”, ma non tutti sappiamo che il cuore dell’ultima lunga preghiera di Gesù riguarda la sua unità con il Padre e l’unità dei credenti: “che come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi, affinché siano perfetti nell’unità” (Giovanni, 17). L’humus di questa unità meravigliosa è la parola di Dio predicata dagli apostoli, quella parola che anche noi oggi abbiamo a disposizione nelle pagine ispirate del Nuovo Testamento, l’Evangelo. Si tratta in verità di una parola molto particolare e speciale, utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia di Dio, affinché l’uomo di Dio sia compiuto, perfettamente equipaggiato per ogni opera buona (2 Timoteo 3,16). Occorre dunque “sedersi ai piedi del Signore” per porsi in ascolto di letture e commenti fatti direttamente sui testi dell’Evangelo. Qui infatti troviamo la Parola stessa del Cristo, registrata da scrittori ispirati da lui. Per ritrovare l’unità in Cristo occorre innamorarsi della semplicità dell’Evangelo, evitare di banalizzarlo e complicarlo inutilmente con tradizioni e culture religiose che spesso si discostano sensibilmente dalla Parola che molti dicono di amare e stimare. Per questo occorre, come scrive Paolo agli Efesini, “sforzarsi di conservare l’unità dello Spirito col vincolo della pace”. Si tratta proprio di uno sforzo, fatto per ascoltare la Parola di Cristo, abbassando il volume di tutte le altre parole, che in fondo sono solo umane. Occorre pazienza verso chi si distrae, e graduale eliminazione dell’ignoranza mediante lo studio biblico attento, accurato. Occorre tenere sempre ben presente ciò che scrive Pietro apostolo: la fede verace del credente è fondata non su favole ma sulla preziosa Parola di Dio, cioè sulle scritture profetiche, sulla testimonianza di uomini che hanno parlato perché “mossi” dalla forza di Dio, il Suo Spirito. L’esordio della lettera agli Efesini presenta un’affermazione capitale e, per così dire, “pitagorica”. Dio vuole riportare sotto un solo capo, in Cristo, tutte le cose, sia quelle che sono sulla terra sia quelle che sono nei cieli. È un’attestazione che va presa sul serio. In Cristo vi è una sola chiesa, per cui la molteplicità di chiese pone problemi: come mai tante chiese se Gesù ne edifica una soltanto? In Cristo vi è un solo Spirito, quello del Risorto che a tutti comunica le stesse cose in modo intelligibile affinché tutti aderiscano di cuore al Gesù Vivente. In Cristo vi è una sola speranza, quella conservata presso Dio; ora tale speranza pone una domanda seria: sperare, come dice l’apostolo, che un giorno Dio sia “tutto in tutti” o lasciarsi attrarre da speranze materialistiche proposte dalla fantasia umana? Uno solo è il Signore, colui che ha dimostrato la propria signoria mediante la risurrezione: è lui il mediatore unico tra Dio e uomini. Non sarà forse rischioso minacciare la sua signoria con altre signorie umane? In Cristo vi è una sola fede, quella radicata sulla parola stessa di Cristo come la si apprende dagli apostoli. Da dove origina perciò la diversità delle fedi? Anche questo è un bel problema. In Cristo vi è un solo battesimo, il lavacro di rigenerazione attuato da credenti ravveduti, che così sono innestati alla Vita di Cristo. Come mai perciò oggi si conoscono battesimi attuati per gli scopi più diversi? Unico è il Padre di ciascuno e di tutti, quel Padre che il testo biblico spesso presenta anche come Madre affettuosa e premurosa verso la creatura umana. Come mai, dunque, anche su Dio si nutrono idee così diverse tra loro? Se il cuore dell’ultima preghiera di Gesù fu proprio l’unità dei discepoli, la divisione è un male. Un male da superare con amore per la verità. Divorzio e seconde nozze L’Evangelo di Cristo, o Nuovo Testamento, è per tutti: “Andate, dunque, ammaestrate tutti i popoli”. Essere cristiani significa essere credenti pensanti (C.M. Martini), riappropriarsi del diritto di esaminare la parola di Dio (fuggendo facili entusiasmi, sempre deludenti) ma anche del dovere di praticarla con l’aiuto di Dio, forti della responsabilità che la fede fiduciosa comporta nei rapporti con Dio, col prossimo, coi membri della famiglia del Signore. Non è l’Evangelo che deve adattarsi all’uomo, ma è questi che deve ascoltare la parola di Dio, lasciandosi plasmare dalla “pazienza e consolazione delle Scritture”, che insegnano, riprendono, correggono, educano alla giustizia di Dio per rendere la persona umana completa, fornita di tutto per ogni opera buona (Rm 15,4; 2 Tm 3,16 s.). Nei problemi riguardanti matrimoni, divorzi e successive nozze, gli italiani sono forse inconsapevoli, irresponsabili? Ignorano forse ciò che Cristo comanda nel Nuovo Testamento? Purtroppo, ci sono gli inconsapevoli, gli irresponsabili e coloro che ignorano. Basta però una sola persona pensante perché il cuore di molti sia ricreato. Ecco un intervento inatteso: “A proposito dell’eucaristia ai divorziati risposati, il cardinale Kasper divaga sulla misericordia quando, invece, esiste il preciso insegnamento di Gesù: ‘Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei. Così pure la donna che ripudia suo marito e ne sposa un altro, commette adulterio’ (Mc 10,11 s.). Dunque chi provoca il divorzio e si risposa non può ricevere l’eucaristia, perché vive in permanente adulterio. Questo è l’insegnamento di Gesù Cristo, non un’invenzione della Chiesa cattolica e chi sostiene tale insegnamento è un conservatore nel senso che il cristiano per vocazione conserva gli insegnamenti di Dio” (Aurelio Verger, Presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione, la Repubblica 21/09/2014). Adultera Chi di voi è senza peccato, scagli il primo la pietra contro di lei. E chinatosi di nuovo, scriveva in terra. Ed essi, udito ciò, e ripresi dalla loro coscienza, si misero ad uscire ad uno ad uno, cominciando dai più vecchi fino agli ultimi; e Gesù fu lasciato solo con la donna che stava là in mezzo. E Gesù, rizzatosi e non vedendo altri che la donna, le disse: Donna, dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata? Ed ella rispose: Nessuno, Signore. E Gesù le disse: Neppure io ti condanno; va’ e non peccare più (Gv 8,1 ss.). Così si chiude il racconto dell’adultera. L’ambientazione è quella del tempio di Gerusalemme, dove Gesù insegna in pubblico. Perché mai il testo descrive per due volte Gesù che si china a terra per scrivere? Per rimandare la risposta? Per allontanare da sé gente mossa solo dal desiderio di metterlo alla prova? J. Jeremias ritiene che le autorità religiose ebraiche non avessero in effetti alcun potere di infliggere la punizione capitale. Gli Ebrei che consegnano Gesù rammentano garbatamente a Pilato come non sia loro lecito «far morire alcuno» (Gv 18,31). Ciò aggiunge forza al tranello: se Gesù fosse per la lapidazione, potrebbe essere accusato di usurpare l’autorità del procuratore romano; se assumesse una posizione diversa, contravverrebbe alla legge di Mosè. X. Leòn-Dufour propone una lettura simbolica del brano; due volte Gesù si china a scrivere a terra e due volte si alza. Questo sarebbe un gesto simbolico indicante l’abbassamento e l’innalzamento del Cristo che muore e risorge per la riconciliazione dell’umanità peccatrice. Un gesto simbolico dotato di tale valore ne spiegherebbe la ripetizione in un racconto così breve. Il commento di R. C. Foster sottolinea il pathos creato da Gesù col silenzio e con mosse calcolate: “Gesù aveva sfidato i capi giudei a uccidere l’adultera, ma sapeva che sarebbero fuggiti dai fantasmi della loro stessa coscienza. Non sappiamo che cosa scrisse Gesù. È questa l’unica volta che si legge che Gesù abbia scritto”. Lo studioso che sa ancora dire «non sappiamo», mostra onestà intellettuale e quell’umiltà che manca a molti che tutto sanno. Ci si potrebbe chiedere se sia «misericordia» la parola che Gesù scrive. Di certo, con la propria vita egli scrisse di una «misericordia» che non si rende complice del male, ma che sa andare oltre il legalismo, per chiamare il peccatore a ravvedimento. G. Papini mette in cuore alla donna una domanda: “Chi era mai quell’uomo, così differente da tutti gli altri, che non voleva il peccato ma perdonava al peccatore?” L’amore benigno del Signore è il sentimento nobile che scaturisce dal suo cuore spezzato (= miseri/cordia) per l’uomo. L’esito più bello della benignità di Dio è indurre il peccatore/la peccatrice a ravvedimento (Rom 2,4). La misericordia di Dio non invita affatto a vivere nella sregolatezza e nel male. Al contrario! Benignità e misericordia di Dio sono realtà realissime molto più reali della realtà sociale, delle mode sociali di ieri, di oggi e di domani. Benignità e misericordia di Dio sono realtà realissime più alte ma anche più esigenti di ogni normativa. Il racconto di Giovanni può provocare riflessioni coraggiose alla luce dell’Evangelo, a partire dalla prima domanda: Chi è mai Gesù che non vuole il peccato ma perdona al peccatore? Perdonare, perdono: che significa, chi ne ha bisogno? Chi può realmente perdonare? Peccatore, peccato? Solo parole da religiosi? Parole senza senso per la persona comune? Che cosa è peccato? Lo si deciderà con un sondaggio di opinioni? Conta la percentuale pro o contro? Che cosa significa in pratica “va’ e non peccare più”? Che cosa è adulterio? E che differenza c’è (se c’è) tra l’adulterio e l’inchino al potente mentre si disprezza il povero? E se venisse il giorno in cui la gente non provasse più disgusto per i mostri presenti nella “coscienza” di ciascuno? Se cioè la “coscienza” di ognuno diventasse del tutto in/cosciente, annullata da ignoranza, superficialità, insensibilità, interessi, orgogli? Nel racconto di Giovanni un personaggio brilla per la sua assenza: l’uomo preso con la donna in flagrante adulterio. La benignità di Cristo non è necessaria anche a lui? Non si deve dire anche a lui “Va’ e non peccare più”? Il richiamo al ravvedimento è quello che la chiesa del Signore fa proprio e propone a tutti. Una donna può tornare a sperare in Dio? Quanta mentalità greca c’è ancora nella ricerca (forse ossessiva?) della bellezza estetica da parte di chi può permetterselo! Almeno in questo siamo ancora Megálē Hellàs, Magna Grecia. Ricerca che presenta qualche limite grave se è vero che “una donna bella ma senza giudizio, è un anello d’oro nel grifo di un porco” (Proverbi, 11). La frase è uno schiaffo morale a fitness, labbra al silicone, spese eccessive per il corpo, ma soprattutto alla mancanza di discernimento di chi si affida troppo all’appariscenza. Ma essere donna assennata è ancora un valore? Oggi si gioca a far le belle anche a -nt’anni, quando le donne dovrebbero evitare la maldicenza e essere maestre nel bene, come dice il vecchio attualissimo Evangelo. È stato scritto che “la parola è Dio”. Se così è, va usata per dire bene, non per dire male del proprio uomo o del prossimo. In ogni gruppo sociale, quindi anche nella famiglia, se l’ambiente è intaccato dal fuoco della maldicenza, le citazioni del Vangelo non servono più, neppure se le facesse Gesù stesso. La donna buona getta via ogni tendenza alla maldicenza, per divenire invece maestra di ciò che è buono. Ma dire e fare il bene, e condursi secondo bontà sono ancora valori per le donne moderne? E poi, che cosa è bontà? Il tocco della saviezza femminile (ma anche maschile) ha una caratteristica peculiare: contribuisce a edificare, mai a distruggere. Così la sapienza al femminile (ma anche al maschile) collabora col Bene alla costruzione morale e spirituale della famiglia, all’armonia famigliare. La “utilità comune” è il criterio buono che informa la sua azione. Questa sapienza “utile”, proficua, buona, positiva per tutti i componenti la famiglia e per il prossimo la si riconosce dai frutti. La stoltezza invece è distruttiva. Anche lei si fa riconoscere dai suoi frutti, purtroppo. Un uomo può tornare a rispettare Dio? La parola ebraica “adàm” significa “uomo”. Adamo non fu quindi nome anagrafico per il primo maschio come non lo fu Eva per la prima femmina. Tuttavia, nel procedere della narrazione del Genesi Adamo diviene “nome”, cioè persona umana che ascolta, agisce, conosce, disubbidisce, ha famiglia, come ogni uomo. La Parola di Dio constata che ogni persona adulta può scegliere di vivere perseguendo puri scopi materialistici; ma può anche voler seguire un cammino diverso: cambiare generazione, innestarsi all’Adamo Nuovo che è Cristo, e vivere una vita spirituale, vivere sì in questo mondo, ma confidando nel Signore. Questa è già qui-e-ora una differenza fra gli uomini. Si vive o secondo criteri materialistici o secondo princìpi spirituali (i quali non escludono affatto il retto uso della materia che di per sé è buona, Genesi, 1). La differenza tra le due condizioni è abissale. L’uomo sapiente secondo Dio ritiene che il rispetto verso l’Eterno è il principio stesso della conoscenza (Proverbi, 1). L’uomo da nulla è cattivo, falso, semina discordie tra fratelli, per questo Dio non lo ama (Proverbi, 6). Non c’è rispetto verso l’Eterno senza rispetto verso l’uomo fatto a immagine di Dio. Ecco perché la sola immagine che Gesù ci ha lasciato di sé è quella del nostro prossimo: “In verità vi dico che in quanto l’avete fatto [un gesto buono] a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me” (Matteo 25,40: “a me”!). Il rispetto può coincidere con la decisione di un attimo. Immaginiamo d’essere usciti in barca e, appena fuori dallo stupendo porto siracusano, una furiosa tempesta s’addensa sul mare. Che facciamo? Proseguiamo fidando nella fortuna o per rispetto verso il mare e verso le persone che sono con noi a bordo decidiamo di rientrare? C’è turbolenza in famiglia; da mesi non si parla più – triste silenzio – se non per litigare. Non si va d’accordo. Esiste il rischio serio di una separazione, o di un congelamento dei rapporti, o di un divorzio. Che cosa facciamo? Preghiamo intensamente, e ci mettiamo tutta la nostra volontà, e anzi al di là della nostra volontà ascoltiamo i consigli di chi ci è vicino, per rispetto verso l’altro e verso Dio, o sfasciamo ogni cosa? Il gruppo sociale (comunità, ambito lavorativo) è in fermento. Che facciamo, aumentiamo la turbolenza con parole e atti che dividono gli animi e rompono i rapporti, oppure pensiamo davvero in termini di rispetto verso Dio e quindi verso le persone? Più forte delle radici degli alberi ai Villini L’Evangelo è proposta etica. Propone alla persona umana il comportamento positivo, buono secondo Dio, il solo Buono. Tu ed io siamo liberi di accogliere tale proposta o meno. Per chi l’accoglie, è proposta che reca felicità e onore: Beati i poveri di spirito, beati gli umili, beati i perseguitati per ragione di giustizia, beati quelli che cercano il regno e la giustizia di Dio. Questa felicità, questo onore, oggi sono necessari anche in famiglia, dove spesso non c’è felicità né onore. Perché? Come mai un uomo e una donna, che un giorno si sono amati, arrivano a odiarsi? È vero che la felicità la fanno i soldi? Qual è la malattia di tante famiglie oggi? E soprattutto qual è la cura per affrontare dolori e angosce, per ritrovare fiducia nel Signore? Gesù è il grande medico che dona vita eterna. Ecco alcuni consigli preziosi che Gesù regala gratis e senza rinfacciare: mariti, amate le vostre moglie come la vostra stessa carne; mogli, portate rispetto ai vostri mariti; figli ubbidite nel Signore ai vostri genitori; padri, non irritate i vostri figli; madri, siate maestre di ciò che è buono. Cerchiamo di apprezzare i suoi doni buoni e faremo la nostra felicità in Cristo! Dinanzi a noi non c’è Gesù bambino e neppure Gesù crocifisso. Davanti abbiamo il Risorto che ama, ma che giudica anche. E il giudizio sarà domani, è così breve la vita che appena ci voltiamo è già finita… Ciò che dà sapore alla vita è Cristo Risorto e Vivente oggi. E presente anche in un mondo come questo: corruzione, adulteri, disonestà, finzioni, malvagità, cattiverie; ma anche un poco di intenzione onesta, un poco di bontà, generosità, comprensione, tolleranza, saggezza. La famiglia nella Bibbia Dedicato a tutti coloro ai quali sta a cuore la relazione sana, buona, dolce tra uomo e donna, tra marito e moglie, tra genitori e figli. Si tratta di guardare alla famiglia dal punto di vista biblico, cioè per come è presentata nell’Evangelo di Cristo o Nuovo Testamento. Non è vero che l’Evangelo sia un messaggio culturalmente datato, superato dalla società moderna. Anzi, forse la nostra società non ha neppur cominciato a conoscere l’Evangelo e a metterlo in pratica. E le ragioni per assumere proprio il punto di vista del Nuovo Testamento sono buone, valide e diverse. Eccone qualcuna. Anzitutto il Nuovo Testamento è parola ispirata dal Signore. Egli conosce bene l’animo umano e sa consigliare per curare e migliorare i rapporti nelle famiglie. Si pensi, ad esempio, alla delicatezza con cui Giuseppe intendeva trattare Maria. Pensando che lei fosse in stato interessante per aver conosciuto un altro uomo, Giuseppe l’amava comunque al punto che intendeva lasciarla di nascosto, per non esporla alla vergogna pubblica. Quale sensibilità! Forse oggi l’abbiamo perduta? Si pensi anche, al consiglio che l’apostolo dà al credente che decide di mettere su famiglia: deve essere in grado di provvedere alla famiglia, perché se uno non provvede ai suoi è peggiore dell’incredulo. Forse questo consiglio potrebbe tornare utile quando si decide sui figli da avere? Presso i primi cristiani la famiglia diceva tutto alle persone: se c’era un uomo autorevole, una moglie seria, se c’erano figli sereni e tirati su in modo armonioso, e così via. Nella tradizione cristiana delle origini (Nuovo Testamento), l’autorità del marito sulla famiglia non è soltanto un requisito dei vescovi e dei diaconi, ma un generico requisito per l’uomo onorato. La famiglia diceva pure il rispetto che si nutriva gli uni per gli altri, e non solo in famiglia ma anche verso il prossimo, cioè verso le altre famiglie. La famiglia infatti non costituiva un mondo chiuso in sé, ma era aperta alle relazioni di buon vicinato, con poveri e ricchi, con colti e ignoranti. Si pensi, ad esempio, alla coppia di credenti formata da Priscilla e Aquila. Mentre si trovano ad Efeso, incontrano un predicatore, Apollo di Alessandria. Egli predica solo parte dell’insegnamento di Dio. Ma ecco che Aquila e Priscilla gli espongono appieno l’Evangelo della morte-e-risurrezione del Cristo, e Apollo, da persona colta qual era, ne accoglie l’insegnamento e a sua volta lo trasmette con una predicazione fedele e zelante. Anche l’incontro di Maria con Elisabetta mette in rilievo l’apertura che dovrebbe esserci tra donne che passano una stessa esperienza, uno stesso “stato interessante”. Ed ecco che in quell’incontro emerge, insospettata, tutta la conoscenza buona che Maria ha della parola di Dio e tutta la fiducia che Elisabetta ripone nel Signore! Nel “villaggio globale” in cui oggi si vive, ci si trova spesso gomito a gomito per esempio con famiglie islamiche, le quali mostrano una forza che non sembra esserci in tante famiglie di cristiani. Impariamo questa forza! Apprezziamo questo rispetto! Forse il nostro cristianesimo si è appannato? Forse la fede fiduciosa in Cristo Gesù ha bisogno di formazione e approfondimento? Occorre forse ritrovare il senso del rispetto per i famigliari propri ma anche per quelli degli altri? Forse la fedeltà al marito o alla moglie potrebbe e dovrebbe rispecchiare la fedeltà a Dio? E come si fa per essere fedeli a Dio? Forse l’onore che i mariti dovrebbero portare alle mogli dovrebbe rispecchiare l’onore da rendere a Dio? E come si fa per onorare Dio nel vero senso della Parola? Forse siamo ancora in tempo per imparare che i figli andrebbero trattati con quella sensibilità, amore, serietà con cui Dio stesso tratta noi? Dio ci ama a tal punto da donare il Suo unigenito figlio, affinché chiunque crede in lui non muoia ma abbia vita eterna. Ù mègghiu per uomini e donne Il dialetto è una lingua a tutti gli effetti, nobilitata dal fatto di aver accolto in sé molto latino e molto greco. Quando, parlando in italiano, si vuol rendere con maggior vivezza un concetto, ecco che si passa al dialetto. Questo fenomeno linguistico è noto in tutte le lingue, ed è quello che accade anche qui parlando di Cristo Gesù. L’epistola agli Ebrei convertiti al Cristo, attribuita a Paolo apostolo, è punteggiata dell’aggettivo “meglio”, “migliore” attribuito a Gesù Cristo Risorto: meglio degli angeli; meglio di Mosè; sacerdote e sacerdozio migliore (e intrasmissibile); che offre un sacrificio migliore; mediatore migliore; colui che addita una via migliore. Come mai? Perché egli è il Vivente. Il solo che può dire di essere il Vivente. Ecco perché di Gesù si può dire che è realmente “ù mègghiu”! Ci si può accostare a lui leggendo le sue parole, la sua vita, i suoi fatti nel meraviglioso Evangelo di Luca e nel libro degli Atti degli Apostoli. Luca, collaboratore di Paolo apostolo, era medico, dunque uomo di scienza. Perciò la sua narrazione può adattarsi bene anche alla nostra mentalità scientifica moderna. La sua infatti è una narrazione storica che vede Cristo Gesù al centro del tempo, quindi nel cuore stesso della vita di uomini e donne. Gesù non è importante solo sotto le feste, quando si deve smerciare. Cristo Gesù oggi è Uomo Risorto e Mediatore unico fra Dio e gli uomini. Lui è davvero centrale nel nostro stesso rapporto con Dio e con gli altri. Soprattutto in un momento così difficile come l’attuale, con giovani e famiglie in grave stato di necessità, è utile ricordare che Cristo Gesù è anche oggi e proprio oggi quel Sacerdote che è capace di simpatizzare con noi nelle nostre infermità, perché lui stesso ha passato le nostre stesse sofferenze, però senza peccare, anzi confidando nel Padre Celeste che lo ha sostenuto e reso forte nella prova più terribile. Molte persone che dicono di “non avere il dono della fede” potrebbero imparare a nutrice la fiducia verace leggendo e meditando la Buona Notizia secondo Luca. Ecco una sintesi della presentazione che Luca fa di Gesù.  Gesù è il Signore, il Risorto dai morti: Lui solo è nostra Speranza Vivente. C’è bisogno di speranza oggi giorno. Ma di Speranza verace. Il destino di chiamarsi Christiane Come siracusano di adozione sono felice delle iniziative che il Comitato Save Villa Reimann ha intrapreso, e che certo continuerà, per la valorizzazione sia della Villa sia del nome della Reimann. Talvolta percorro la via Necropoli Grotticelle a piedi. Data la mancanza di marciapiede, è un’impresa non da poco evitare di farsi investire dai veicoli che sfrecciano in strada. D’altra parte, se ci fosse spazio per un marciapiede, l’impresa sarebbe quella di fare lo slalom per evitare le deiezioni canine solide e liquide lasciate sì da animali, ma anche da proprietari incuranti dell’igiene e del decoro pubblico. Si augura buon lavoro al Comitato. Ce ne è davvero bisogno, e possa la Villa tornare all’antico splendore. Lo merita, perché splendida e generosa fu Christiane Reimann, infermiera e nobile signora, famosa come prima Executive Secretary dell’International Council of Nurses (importante organizzazione di infermiere), la quale nel 1935 si trasferì a Siracusa col marito, il Dott. Alter, proprio in questa dimora. Christiane portava il nome del padre (C. Christian Reimann, 1853-1929). Cristiano/Cristiana era un nome piuttosto inusitato nella cattolica Siracusa del tempo, ma molto diffuso nella società danese caratterizzata da forte attaccamento alla chiesa Evangelica Luterana. Lutero era stato quel frate agostiniano che agli inizi del XVI secolo, insegnando la Bibbia, aveva riscoperto il valore e il peso delle parole della Bibbia, scritta per ispirazione di Dio. Una di queste parole era appunto “cristiano”, usata solo tre volte nel Nuovo Testamento. Anzitutto l’evangelista Luca informa che “fu in Antiochia che per la prima volta i discepoli [di Cristo] furono chiamati cristiani” (Atti 11,26). La seconda volta siamo a Cesarea, in Palestina. Paolo apostolo deve difendersi da accuse infamanti dinanzi a re Agrippa. La sua arringa è così efficace e appassionata che il re risponde: “Per poco non mi persuadi a diventare cristiano” (Atti 26,28). La terza occorrenza del termine la si trova sulla penna di Pietro apostolo: “Nessuno di voi patisca come omicida, o ladro, o malfattore, o come ingerentesi nei fatti degli altri; ma se uno patisce come cristiano, non se ne vergogni, ma glorifichi Dio portando questo nome” (1 Pietro 4,15 s.). Nel primo secolo, quando Paolo apostolo passò da Siracusa, dire di essere “cristiano” poteva significare rimetterci il collo. Ma chi era un cristiano e cosa significava questa parola allora? Ce lo dice il Nuovo Testamento, norma di Cristo valida per i “cristiani” anche oggi. Per diventare discepoli occorreva ascoltare con cura la parola di Cristo predicata da apostoli o da predicatori fedeli all’Evangelo. Infatti la fede nel Signore (= Risorto) viene dall’udire e l’udire si ha per mezzo della parola di Cristo (Romani 10,17). Le persone che ascoltavano la parola predicata potevano essere toccate interiormente da tanta bellezza e veracità e salvezza. E chiedevano: che dobbiamo fare? Ecco la risposta di Pietro: “Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato per la remissione dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo. Poiché per voi è la promessa, e per i vostri figli, e per quelli che sono lontani, per quanti il Signore Dio nostro ne chiamerà (...) e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila persone” (Atti 2,38). Nasce così la comunità di credenti. Nel primo secolo cristiani si diventava in questo modo. Nel ventunesimo secolo la conversione non è cambiata. Essere cristiano era un onore dinanzi a Dio, mentre dinanzi agli uomini era spesso una vergogna. Ma i cristiani cercavano onore presso Dio (Romani 2,7), non presso la società. Dopo la conversione al Cristo attuata con la rinascita battesimale, il cristiano continuava la propria vita nella imitazione del Signore e nella coerenza con la Sua parola, sempre col Suo aiuto prezioso (Efesini 5,1 ss.). Questa è la fede cristiana ancor oggi, per chi l’apprezza. Forse, se questa conversione toccasse le menti di molti (o di pochi), ci sarebbero meno violenze, più rispetto amorevole, più onestà, meno amore per il potere e più dedizione e servizio. Quella dedizione e quel servizio che caratterizzarono la vita di Christiane Reimann. Il male non conosce genere L’accusa seguita dall’arresto dell’accusato è faccenda seria. Eppure non è una condanna. Al momento non si sa chi ha ucciso il piccolo Loris, anche se un moto interiore di raccapriccio ci coglie tutti al solo pensiero che possa essere stata la madre. Io ci sono stato a Santa Croce Camerina. Non in macchina né di persona. Ci sono stato perché ho letto Sciascia che scrive del “mare colore del vino”, e Camilleri che fa abitare Montalbano a Punta Secca, frazione di Santa Croce Camerina. Ma questa volta, purtroppo, la poesia del pèlago e la finzione letteraria o televisiva sembrano vinte dal male. Si è dinanzi alla realtà di una vita che, appena sbocciata, è stata eliminata con violenza. Non mancheranno le perizie psichiatriche, capaci di fornire ragioni all’irrazionale. Ma il male sempre sorprende. Soprattutto quando coglie un bambino. A otto anni, bisogna dirlo con chiarezza, non si conosce il male, non si sa che cosa sia il male. Si nasce tutti immacolati, innocenti, anche se in un mondo malato. Una patologia alla quale ciascuno, in seguito, darà il proprio contributo malevolo quando, crescendo, imiterà il male, penserà male, agirà per il male. L’Evangelo dice chiaramente che il peccato è la trasgressione attiva della legge di Dio. I verbi che la Parola di Dio utilizza parlando del male (peccato) sono tutti all’attivo. La trasgressione (peccato) è un’azione attiva della persona umana, la quale dimentica la propria umanità originata da Dio. Durante una discussione sul valore della “tradizione degli antichi”, che Gesù rigetta senza esitare, egli afferma: «Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo». Poi i discepoli lo interrogarono sul significato di quella parabola. E disse loro: «Siete anche voi così privi di intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può contaminarlo, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna?» (…) Quindi soggiunse: «Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive escono dal di dentro e contaminano l’uomo» (Marco, 7). Gesù afferma che quando ci si interroga sul male non occorre cercare lontano, ma bisogna scavare vicino, anzi “dentro” ciascuno di noi. Il male, inoltre, non conosce genere. La ormai lunga genealogia che si diparte dai primi uomini e donne conosce donne sante che sperano in Dio: Sara, moglie di Abramo, donna di fede, ma non per questo priva di umorismo; Debora, donna condottiero di Israele; Elisabetta, parente di Maria e madre di Giovanni il Battista, precursore di Gesù; Maria stessa, madre di Gesù, dotata di grande conoscenza biblica, nonostante la sua giovane età al momento dell’annunciazione; la donna pagana, che attira l’attenzione di Gesù con una frase memorabile “Non voglio il tuo pane, ma solo le briciole che cadono dal tuo tavolo”! Eppure la medesima genealogia conosce anche donne tremende, dedite a fare il male: Jezabel, moglie di re Achab, ladra e assassina che odia i profeti di Dio perché rimproverano pubblicamente il suo agire perfido; lo stesso suo nome è usato da Giovanni nell’Apocalisse per indicare una profetessa falsa; il Nuovo Testamento ricorda “donnicciole cariche di peccati” che calunniano gli altri e vedove lussuriose che scandalizzano col loro comportamento. Quanto agli uomini, fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganni, invidie, calunnie, superbia, stoltezza, ne hanno caratterizzato le vicende disumane da sempre, ce lo dicono la storia secolare e quella biblica. Come uscire da una simile situazione malefica? Come guarire da una tale patologia spirituale? Quale medico è in grado di intervenire sull’interiore della persona per restituirle la sua umanità divina? L’Evangelo risponde con un una preghiera e con un nome solo: sia ringraziato Dio che in Cristo Gesù dona la sua grazia a quanti la ricercano con cuore umile. Per guarire interiormente occorre lasciarsi operare dalla Parola sobria di Cristo Gesù che, scrive Pietro, è il Pastore e il Vescovo delle anime nostre. Un cordiale invito ai “pazienti” di ogni genere. Femminicidio: tra Camilleri e l’Evangelo “Dilaga, nel nostro Paese, il femminicidio soprattutto da parte di ex mariti, ex conviventi, ex amanti, ex fidanzati. Il Parlamento ha approvato l’adozione di una convenzione internazionale che cerca di contrastare quest’orrido andazzo. Ma non credo che bastino le leggi. Il solo fatto che tali delitti siano compiuti da ex dimostra che gli uomini non intendono rinunziare a considerare la donna come una proprietà personale sempre a disposizione per il loro uso e consumo privato. E le sempre più larghe conquiste d’autonomia e d’indipendenza femminile le avvertono come un pericolo. E perciò reagiscono aggredendo e uccidendo, come fanno appunto le bestie quando si sentono in pericolo”. Così scrive Camilleri, che vede giusto nel suo pur breve giudizio. Il quale giudizio consente tre considerazioni alla luce del Nuovo Testamento di Cristo Gesù. 1. Per cercare di risolvere questo dilagante problema non bastano leggi e convenzioni internazionali. Camilleri individua bene ciò che “non basta”. Ma non ci dice “ciò che basta” o che forse basterebbe. Non lo può dire, perché la sua analisi è solo sociologica (rapporti tra uomo e donna) e antropologica (che cosa è l’uomo). E questo genere di analisi addita in modo corretto il problema, ma di rado ne offre la soluzione. Per cercarla e trovarla, la soluzione, occorre educare la persona (maschio e femmina) illuminando il suo “interiore”. Occorre rieducare e richiamare continuamente la persona umana (femmina e maschio) alla sua vera origine, che non è bestiale, ma divina. Fatti salvi i meriti della più raffinata scienza biologica, sembra certo che se mi si dice di continuo che discendo dalla scimmia, non ci si può poi lamentare se decido di comportarmi da bestione. L’essere umano, diseducato, lasciato a se stesso come pianta selvatica, può disumanizzarsi al punto da comportarsi come bestia. Qui bisognerebbe riflettere con cura sulla parola biblica che dice: “Poiché sei tu [Dio] che hai formato le mie reni, / che m’hai intessuto nel seno di mia madre. / Io ti celebrerò, perché sono stato fatto/in modo meraviglioso, stupendo. / Meravigliose sono le tue opere, / e l’anima mia lo sa molto bene” (Salmo 139,13). Se non so chi mi ha formato e intessuto, ignoro tutto di me stesso. Di conseguenza può ben accadere che “lo stolto dica nel suo cuore: Non c’è Dio”. Si legge ancora: “[Gli uomini] si sono corrotti, si sono resi abominevoli nella loro condotta” (Salmo 14,1). Il che non può meravigliare, data l’ignoranza su se stessi e sulla loro origine. Indice Cristo Gesù e la fede 3 Credenti uniti in Cristo 5 Finché c’è vita... 7 Cristo fondamento della vita 9 Sulla lettera di Paolo apostolo agli Efesini 11 Quel Capo unico e così diverso 13 Siracusa e la Bibbia 14 Siracusa ed Efeso 16 La latomia di Cristo Gesù 18 Pitagora e Cristo 20 Fede e morale nel fragore del silenzio 22 Siracusa e Adelfia: fede viva oltre la morte 24 Divorzio e seconde nozze 26 Adultera 28 Evangelo e famiglia 30 Una donna può tornare a sperare in Dio? 32 Un uomo può tornare a rispettare Dio? 34 Più forte delle radici degli alberi ai Villini 36 La famiglia nella Bibbia 38 Ù mègghiu per uomini e donne 40 Il destino di chiamarsi Christiane 42 Il male non conosce genere 44 Un’altra strage di innocenti 46 Femminicidio: tra Camilleri e l’Evangelo 48 Finito di stampare: gennaio 2015

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