Riflessioni

Grazia e amore

La meritocrazia di Dio: grazia e amore incondizionato I doni, credi a me, conquistano e uomini e dèi (Ovidio, Ars amandi, III, 653). La riflessione qui presentata nasce dal fatto che nell’immaginario religioso collettivo si ritiene che i concetti di grazia e di amore incondizionato siano coincidenti. Questa associazione intralcia seriamente il raggiungimento della salvezza, anzi la rende vana. Proviamo a mettere un poco d’ordine. Il termine grazia è adoperato in molti ambiti linguistici, rivestendo significati diversi fra loro. Nell’uso corrente indica l’insieme dell’amabilità e della bellezza, nonché di gentilezza di atteggiamento e/o di atti esteriori, anche sportivi. Nell’ambito sociale e politico, in passato, si riferiva a “le concessioni straordinarie o ai gesti di generosità magnanima esercitati dalle supreme autorità verso i sudditi. Nell’odierno linguaggio giuridico esprime i provvedimenti attraverso cui i Capi di Stato commutano o condonano, in tutto o in parte, pene comminate con sentenza irrevocabile”. Nell’area filosofica il termine grazia riguarda il favore, la pura benevolenza verso un inferiore o è relativo all’estetica di movimenti, di forme e di atteggiamenti. In questa sfera, i tentativi di un approfondimento non hanno condotto ad una accezione univoca, essendo collegati a concetti eterogenei, fra cui: dono, libertà, gratuità, volontà di apertura, scambio di bene o amore. Sono quindi contenuti più o meno lontani da quello biblico. La grazia (gr. cháris; lat. gratia), così come espressa nel Nuovo Testamento indica la “dote che rende gradito chi la possiede, di benevolenza e di favore che ne deriva, e di beneficio che ne è l’effetto diretto e di riconoscenza o gratitudine che ne è il contraccambio, sta ad indicare l’assoluta gratuità e soprannaturalità di dono divino”. Tuttavia, analizzando accuratamente il significato biblico di grazia, emerge una esigenza forte di adempimento a determinate condizioni poste da Dio, per quanto Cristo sia Egli stesso un dono (= “grazia” in 1 Tim 2,4 ss.; Tito 3,5). La gratuità non coincide con l’idea di “amore incondizionato”, che produce la convinzione di comodo secondo cui, a prescindere dalla condotta individuale, Dio, che è puro amore, salverebbe comunque. Il pericolo risiede nella deresponsabilizzazione personale del credente, che delega tutto alla volontà del Signore, scindendo di fatto il proprio rapporto spirituale con Lui. Ma non è così! Infatti, tale condizione inficerebbe il senso stesso del sacrificio salvifico di Cristo, lo renderebbe INUTILE! Del resto, come Lui ha rinunciato alla sua identità divina, similmente il credente deve rinunciare al “vecchio uomo” (Rm 6,4 ss.; Fil 2,6 ss.). Inoltre, il sacrifico di Cristo è “prezzo” della nostra liberazione dal male (Col 1,13-14), che non potrebbe mai essere umanamente contraccambiato. Di qui la necessità di osservare determinate condizioni per giungere alla salvezza in Cristo (At 17,30; 28,19 s.), il che conferisce senso al sacrificio di Cristo. È perciò essenziale l’azione coadiuvate della grazia per rendere possibile la salvezza (Gv 1,16 s.). Paolo, per esempio riconosce che il suo apostolato è stato prodotto dalla grazia di Dio, in quanto avrebbe meritato un trattamento ben diverso da Dio a motivo della sua iniziale incredulità e per la sua azione persecutoria contro i cristiani (1 Cor 15,8 ss.;1Tm 1, ss.). Il “graziato” deve operare sempre una scelta, avendo la libertà di discriminare tra il bene e il male. Questa situazione compare fin dall’origine (Gen 2,16 s.). Adamo ed Eva ebbero la possibilità di scegliere. Mosè pose davanti ad Israele la necessità di fare delle scelte (Deut 30,19 s.). Giosuè esortò il popolo a prendere una ben definita posizione (Gs 24,15). Emerge, al contrario, come la grazia di Dio implichi l’assunzione di responsabilità personale del credente. L’indifferenza al sacrificio di Cristo, il rifiuto della grazia e della salvezza diventano la vera bestemmia dell’uomo contro Dio (Mt 12,31). Come accennato sopra, l’autoinganno è basato sulla convinzione che “tanto alla fine, Dio salva tutti”. Questa credenza di comodo è pericolosa perché sottrae tempo utile e responsabilità personale alla ricerca della salvezza, incentivando un atteggiamento di tiepidezza. Ancora più drammatico sarebbe rimanere “tiepidi” nel rapporto con il Signore (Ap 3,16). Ciò avviene quando si ritiene di avere “la coscienza a posto” , senza preoccuparsi affatto del proprio stato di salute spirituale. Circola però, più o meno diffusamente, anche l’opinione popolare secondo cui il “non far del male ad alcuno” sia una “valore” sufficiente per essere giustificati agli occhi di Dio. È questo un convincimento insano perché definisce il “bene” come inattività, disimpegno del soggetto da ogni azione verso l’altro e verso Dio. Occorre dunque ricordare che, anche in presenza di azioni benefiche, ammantate da eccessi altruistici (1 Cor 13,1 ss.), non potremmo mai salvarci solo tramite le buone opere, né con le nostre sole capacità umane (Gb 15,14; Sl 14,3; Tito 3,5). Per tale motivo la grazia di Dio è disponibile a chiunque abbandoni il peccato e accolga il Cristo Signore (2 Pt 3,9). Il rischio invece è che la persona salvata possa allontanarsi dalla grazia di Dio (Eb 6,4 ss.; 2 Pt 2, 20 ss.). La grazia Dio non produce solo salvezza, ma insegna ai credenti uno stile di vita nuovo. Il fedele dovrebbe vivere in modo equilibrato; con devozione nei riguardi del Signore, cioè con un’attitudine interiore sincera, disponibile all’adorazione e all’ubbidienza (Tito 2,11 s.). La grazia di Dio trasforma l’uomo, generando un cambiamento radicale in ogni aspetto della vita (Rm 6, 1 ss.) e, per grazia, l’uomo di Dio ha in mente altre visioni che prescindono da questa vita (Col 3,1 ss.). Ancora, la grazia di Dio produce perseveranza nelle prove (2 Cor 12,8), sostiene il fedele e rende la sua nuova propensione significativamente diversa rispetto a quella seguita prima! Senza grazia, insomma, è difficile consolidare la crescita spirituale, per cui è fondamentale che alla fede vengano aggiunte progressivamente la virtù, la conoscenza, l’autocontrollo, la pazienza, la pietà, l’affetto fraterno e l’amore (2 Pt 1,5 ss.). Giovanni Battista, considerato dal Signore il più grande uomo “nato da donna” è ritenuto allo stesso tempo inferiore al più umile dei cristiani, non essendo stato, per ragioni cronologiche, giustificato dall’azione della grazia (Rom 5,1 s.). Il credente, in quanto creatura dimensionata a un ordine divino, è assimilato alla stessa natura di Dio. Tale atto è, per eccellenza, grazia, includendo espressamente il concetto di giustificazione (Rom 3,23 s.; 5,16). La grazia è ovviamente frutto dell’Amore di Dio che ha applicazioni differenti in più aree. La parola “amore”, nel Nuoto Testamento e specificatamente nell’evangelo di Giovanni, ricorre 57 volte, un numero maggiore rispetto alla somma delle occorrenze negli altri tre evangeli. Solo nella prima lettera di Giovanni compare ben 46 volte. Non a caso Giovanni è definito l’apostolo dell’amore. Nel senso più esteso l’amore come filìa è inteso come affetto verso familiari, amici o verso ideali, princìpi, passioni, attività, hobby. Nell’ambito sessuale, l’amore è caratterizzato come eros: l’erotismo, manifesta essenzialmente comportamenti, desideri finalizzati a soddisfare il bisogno sessuale. Acquista invece il significato di agápe, quando risponde al principio dell’amore universale, oltre ogni possibile aspetto umano, materiale, possessivo, egoistico, ben più che il “pranzare insieme”. Con il sacrificio di Cristo, Dio esprime la massima forma di amore altruistico (Ef 3,17 ss.; 5,25), un amore tale da essere la condizione senza la quale non vi è salvezza, poiché Cristo Gesù è prezzo di riscatto per tutti! L’amore di Dio ha inoltre funzione giustificatoria che, come la grazia, NON deresponsabilizza affatto l’uomo che si avvicina a Dio! L’equivoco che genera la concezione di “amore incondizionato” può essere alimentato dalla pratica del perdono. Gli assertori di tale tesi, citano la famosa frase di Gesù “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Luca 23,34). Ma a resurrezione ormai certificata, l’apostolo Paolo scrive: Dio dunque, passando sopra i tempi dell’ignoranza, ora COMANDA a tutti gli uomini, in ogni luogo, che SI RAVVEDANO. Poiché ha stabilito un giorno in cui GIUDICHERÀ il mondo con giustizia per mezzo di quell’uomo che Egli ha stabilito; e ne ha dato prova a tutti, resuscitandolo dai morti (At 17,30 s.). L’amore per Cristo ha un vincolo, una condizione imprescindibile, l’ubbidienza ai suoi comandamenti: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (1 Gv 1,4 s.). Anche qui, l’amore per Cristo è subordinato “a una condizione” alla quale dobbiamo adeguarci senza riserva; concetto ribadito nel commiato dell’ultima cena (Gv 15,10). Ma anche la capacità d’amore dell’uomo avviene per via riflessa dell’amore di Dio: “Noi amiamo, perché Egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19). I nostro amore risulta essere una rifrazione dell’amore di Cristo. Un modo ulteriore di esprimere l’amore è sottolineato dal lavaggio dei piedi di Gesù ai suoi discepoli, esempio di profondissima umiltà, rinforzato dall’ennesimo invito ad amare; l’amore esercita per eccellenza la fondamentale funzione di aggregazione, di unità dei fratelli, fra i fratelli, per i fratelli: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri (Gv 13,34 s.). A fronte di quanto visto, appare evidente che il concetto di “amore incondizionato”, equivalente all’idea di “salvezza incondizionata”, è assolutamente estraneo allo spirito del cristianesimo; a sostegno di questa tesi ricordiamo le due strade (= condizioni) indicate dal Signore, tra le quali la persona si trova a scegliere: quella stretta e tortuosa che porta a salvezza, o quella larga e piana che porta a perdizione. Ma Gesù insiste fino all’ultimo della sua esperienza umana a esortare i discepoli affinché conservino accuratamente il privilegio della grazia, senza cui è impossibile riconciliarsi con Dio. Del resto, l’amore cristiano è rafforzato da altri concetti similari quali misericordia (Os 6,6; Lc,10,25 ss.), carità (1 Cor 13,1ss), pietà (Rom 12,8), umiltà (Mt 19,14; 23,11 s. ), rinuncia (Mt 16,24 s.; 19,29) e perdono (Mt 18,21 s.). Quest’ultima considerazione, che meriterebbe una trattazione a parte, conferma quanto sia vitale per la salute spirituale dei credenti praticare l’amore cristiano in tutte le sue peculiari sfaccettature, perché i nomi dei meritevoli non siano cancellati dal Libro della Vita (Ap 3,5). L’imperativo è allora non lasciarsi sedurre da false convinzioni, non appiattirsi sulla genericità del pensiero collettivo, non aderire al facile “buonismo”, ma ritenere appassionatamente la grazia di Dio fino alla fine, osservando costantemente gli insegnamenti del Cristo, poiché “è stolto colui che confida nell’uomo” (Ger 17,5). © M. Santopietro – 2015 Riproduzione riservata

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