Pasqua persona di Cristo
Chiesa di Cristo Gesù in Pomezia
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Roberto Tondelli
Pasqua: una persona,
non una festività
Il disorientamento religioso è parte di quello politico, sociale e globale. Perché dovremmo credere ai politici beceri e alle chiese che ormai sono tutte volte al sociale o alla moralità melensa e ripetuta? La gente è spenta e indifferente; non vota più, va in chiesa o non ci va per abitudine, pensa al caos mondiale e si rifugia quindi nel suo piccolo mondo.
È triste, ma questo è il clima.
(S. B., lettera personale, 02/03/2016)
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© Roberto Tondelli, Pasqua: una persona, non una festività, 2016
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Pomezia (Roma), 2016
Gesù, Messia montato sopra u sceccu
Dopo la distruzione di Gerusalemme, Tito entra
a Roma trionfante su una biga imperiale.
Ma si è mai visto un generale vittorioso
entrare nella capitale a dorso d’asino?
Cristo Gesù è “nostra pasqua” tutti i giorni dell’anno.
L’Evangelo di Giovanni registra un momento dell’ultima pasqua celebrata da Gesù coi discepoli:
La gran folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: Osanna! /Benedetto colui che viene nel nome del Signore,/ il re d’Israele! Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: Non temere, figlia di Sion!/ Ecco, il tuo re viene, / seduto sopra un puledro d’asina. Sul momento i suoi discepoli non compresero queste cose; ma quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che questo era stato scritto di lui e questo gli avevano fatto. Intanto la gente che era stata con lui quando chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro e lo risuscitò dai morti, gli rendeva testimonianza. Anche per questo la folla gli andò incontro, perché aveva udito che aveva compiuto quel segno. I farisei allora dissero tra di loro: Vedete che non concludete nulla? Ecco che il mondo gli è andato dietro! (Gv 12,12 ss.).
I capitoli precedenti della narrazione giovannea mostrano come la polemica fra Gesù e le autorità religiose sia andata montando fino a raggiungere l’esasperazione. Di qui la decisione di uccidere Gesù (Gv 11,50 s.). Fino a questo momento, Gesù è riuscito a evitare l’arresto e la morte rifugiandosi a Betania, poco fuori da Gerusalemme, in casa degli amici Marta, Maria e Lazzaro. Qualche giorno prima, la decisione di Gesù di risuscitare l’amico Lazzaro era coincisa con la sua determinazione di affrontare decisamente il proprio destino mortale. E Gesù va a Gerusalemme.
Il suo ingresso in città è descritto secondo i canoni degli ingressi trionfali dei sovrani: folle osannanti, acclamazioni regali, braccia che si agitano in segno di saluto... eppure, a ben guardare, in questa scena c’è qualcosa di diverso rispetto ai soliti applausi che accolgono capi e leader.
1. Gesù monta uno “sceccu”, un asinello. Giovanni, che scrive ispirato da Dio dopo gli eventi, ricorda la profezia di Zaccaria secondo cui il “re” di Gerusalemme sarebbe entrato in città “montato sopra un asino”. Questo “re” sarebbe stato “umile” (Zac 9,9). Gesù è re, ma un re atipico e ben diverso da tutti gli altri re della terra. I grandi ritornavano trionfanti dalle loro campagne belliche montati su cavalli bianchi, o su bighe dorate trainate da scalpitanti cavalli di razza. Tito entra a Roma su una trionfale biga imperiale dopo la distruzione di Gerusalemme (70 d.C.). Napoleone è ritratto sul un rampante cavallo bianco...
Si è mai visto un generale vittorioso entrare nella capitale a dorso d’asino? Le statue equestri, antiche e moderne, parlano da sole di trionfi! Gesù è dunque un re molto diverso. Fa del tutto per correggere ed eliminare le aspettative delle folle che si attendono un duce politico, un capo economico, un leader religioso, un uomo della provvidenza – le folle non cambiano mai. Ma Gesù monta uno sceccu! Già una volta, dopo aver sfamato migliaia di persone, Gesù se ne era andato da solo su un monte, abbandonando e disilludendo le folle che volevano acclamarlo re sul posto (Gv 6,14 s.).
L’umiltà di Gesù non è fittizia. Non si veste né si atteggia a persona umile per meglio accattivarsi le masse e per guidare così la pubblica opinione. Egli è davvero contro poteri e potenze di questo mondo, per questo non si allea con loro. Egli non sfrutta la sua popolarità neppure per scopi che potrebbero sembrare buoni. Non è un leader politico religioso. È il re di un regno del tutto diverso dai regni di questo mondo – una lezione dimenticata da molti, purtroppo. Entrando ora a Gerusalemme, Gesù accetta le acclamazioni delle folle, ma senza farsi illusioni. Sa bene che dietro l’angolo c’è per lui l’arresto e la morte. Potrebbe sfruttare quel momento di esaltazione collettiva per evitare la vergogna dell’arresto, la sofferenza e l’umiliazione della crocifissione. Ma non lo fa. Come è diverso Gesù , vero? Proprio del tutto diverso...
2. Giovanni informa che sul momento i suoi discepoli non compresero queste cose. Spesso i discepoli non capiscono Gesù. E, almeno in questo, molti che oggi si definiscono discepoli di Cristo somigliano a quei primi discepoli: non comprendiamo. Giovanni scrive però che i discepoli capirono quelle cose solo “dopo”: dopo che Gesù fu crocifisso e risuscitato, cioè dopo che fu “glorificato”. E le capirono perché “si ricordarono delle cose che erano state scritte di lui”. Per comprendere Gesù occorre uscir fuori dalle folle plaudenti e considerare con cura “le cose scritte” per nostro ammaestramento nelle Sacre Scritture. Solo così dimostreremo di avere la volontà di credere e ubbidire all’umile re di gloria, il quale è “nostra pasqua” tutti i giorni dell’anno, affinché impariamo a credere e ubbidire non ad altri che a Lui, per avere da Lui perdono, grazia, vita e per sopportare come Lui i sacrifici della fede fiduciosa in Dio.
Né pasqua né vita senza sacrificio
Si può ricordare il sacrificio di Gesù quando tutti cerchiamo
di evitare ogni forma di sacrificio nella vita quotidiana?
Diversi anni fa Sergio Quinzio (1927-1996), biblista, osservatore attento della realtà religiosa e sociale, notava che la pasqua aveva ormai ben poco senso per i credenti, abituati come siamo a non conoscere il sacrificio, anzi ad evitare finché possibile ogni forma di sacrificio. Quinzio si chiedeva come fosse possibile in questa situazione fare effettivamente memoria del sacrificio di Gesù, che è presentato nell’evangelo come “agnello” che si sacrifica per cancellare il peccato del mondo (Gv 1,29). Quinzio concludeva la sua analisi della fede nel sacrificio con toni piuttosto negativi e pessimistici, anche se realistici, purtroppo.
È difficile dargli torto. Oggi “pasqua” significa talvolta una distratta partecipazione (pseudo-)religiosa mentre si pensa già a pasquetta e alle mangiate che ci aspettano. I supermercati offrono per l’occorrenza abbondantissimi cibi, salati e dolci. Ma chi realmente vuol mettersi a camminare sulla strada della imitazione di Cristo Gesù? Chi è realmente disposto a prendere la propria croce e a seguire Cristo Gesù come si segue “il Signore”, cioè il risorto? Chi vuole davvero fare la volontà di un altro, anzi dell’Altro che è Dio?
Se la volontà di Dio è che occorre sacrificarsi per il bene dei figli, chi vuole farlo? Se è volontà di Dio che la moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito (1 Cor 7,4), chi vorrà ubbidire? Se è volontà di Dio che il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie (1 Cor 7,4), chi vorrà agire così? Se la volontà di Dio è che chi sposa una donna divorziata commette adulterio (Mt 5,32), chi vuole ascoltare e ubbidire? Se la volontà di Dio è che non si debbono fare estorsioni (Lc 3,15), chi vuole adeguarsi? Se la volontà di Dio è che non bisogna riscuotere più del dovuto (Lc 3,13), chi vorrà affrettarsi a ubbidire? Se la volontà di Dio è che i discepoli di Cristo vivano tranquillamente e lavorino onestamente con le proprie mani (1 Tes 4,11), chi vorrà seguire in pratica questo consiglio? Ma per molti oggi, confortati in questo anche da teologi e filosofi, non esiste neppure più una “volontà di Dio” da seguire.
Chi invece vuole ancora essere cristiano nel vero senso della parola, sa che occorre agire secondo la volontà di Dio non un giorno all’anno, illudendo se stessi, ma tutti i giorni. Il motivo fondante di un tale modo di agire – se ne è ricordato sopra qualche esempio – è uno solo: Cristo Gesù si è sacrificato per attuare la volontà di un Altro, cioè di Dio. Gesù ha seguito davvero la “strada stretta” che porta alla vita in Dio, perché sapeva che la “strada larga”, percorsa da molti, è quella che “porta alla perdizione”. Se non ci crediamo o ne dubitiamo, guardiamoci bene intorno...
Seguendo la strada “stretta”, Gesù Cristo ha offerto se stesso in “sacrificio”, e lo ha fatto “una volta per sempre” (Eb 7,27). Il sacrificio di Gesù è irripetibile, egli infatti “ha offerto un unico sacrificio per i peccati e per sempre” (Eb 10,11 s.). Confrontare il sacrificio meraviglioso di Gesù coi sacrifici offerti dai sacerdoti è come confrontare il giorno con la notte. Non c’è paragone! I sacerdoti, infatti, essendo mortali, si succedevano e si succedono gli uni agli altri, “ma Cristo, siccome vive in eterno [è risorto!], ha un sacerdozio che non si trasmette; per cui può salvare compiutamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, perché Gesù vive per sempre per intercedere per loro” (Eb 7,23 ss.). Quale meraviglioso sacerdote, quale efficacissima intercessione del Cristo vivente!
Nel caso di Gesù Cristo, il suo sacrificio lo ha condotto alla vita. Lo stesso vale per noi se lo imitiamo, sempre col suo aiuto efficace. Questo Gesù che si è così sacrificato per tutti è in effetti il sacerdote che ci occorre: “santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli; egli non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso” (Eb 7,26 s.). In questo modo Gesù Cristo indica a tutti la strada per la vita.
Proprio per tale ragione Paolo apostolo, ispirato da Dio, potrà scrivere ai discepoli che “Cristo è la nostra pasqua” (1 Cor 5,7). Non più la festività annuale comandata dalla tradizione (di Mosè o altro), ma una “festa” della “nuova” vita cristiana quotidiana che si celebra eliminando dal nostro comportamento la malizia e la malvagità, per accogliere invece la sincerità e la verità tutti i giorni della vita (1 Cor 5,8). “Cristo nostra pasqua” appartiene infatti alle cose “nuove”, alla “nuova” realtà che Dio ha realizzato mediante Cristo Gesù (2 Cor 5,17).
L’evangelo di Cristo è puro per i puri. Le pulizie di pasqua si fanno quindi tutti i giorni, evitando il “vecchio lievito”: fornicazione, avarizia, idolatria, maldicenze, ubriachezze, ruberie (1 Cor 5,11). I cristiani si comportano con sacrificio ogni giorno dell’anno e fanno memoria di “Cristo nostra pasqua” nel primo giorno della settimana, secondo l’esempio apostolico.
La nostra pasqua è stata immolata
Qui è in gioco la vita, l’esistenza integrale del cristiano
e della cristiana tutti i giorni che Dio ci dà da vivere
Lo studioso e biblista (e anche ingegnere) J. L. Martyn (1925-2015) ha dimostrato in un suo lavoro ormai divenuto classico che l’evangelo di Giovanni, spesso presentato come lettura “spirituale”, è invece una narrazione che integra e armonizza molto bene annuncio profetico e fatti storici di Gesù. Dopo il grande “segno” della risurrezione di Lazzaro, quando la polemica tra Gesù e il potere religioso raggiunge il culmine, le autorità religiose, sconfitte sul piano delle azioni potenti e dell’insegnamento, decidono “che Gesù doveva morire per la nazione” (Gv 11,51). E così avviene.
Però ciò che i poteri religiosi non possono prevedere è che tre giorni dopo la sua morte “Gesù venga e si presenti in mezzo ai discepoli, dicendo: Pace a voi! E mostra loro le mani e il costato. I discepoli, dunque, appena vedono il Signore si rallegrano” (Gv 20,19 s.). Si è reso questo brano al presente, e non al passato remoto, perché Gesù stesso assicura che dovunque i suoi discepoli sono riuniti “nel suo nome”, cioè per la sua autorità, Gesù è presente in mezzo a loro (Mt 18,20). Solo Cristo ha ricevuto da Dio “ogni autorità in cielo e in terra” (Mt 28,18). Tale autorità autorevole egli l’ha data agli apostoli, guidati dallo Spirito in “tutta” la verità (Gv 16,13). Tale verità venne messa per “scritto” da uomini ispirati da Dio (Gv 20,31; Lc 1,3; 2 Tim 3,15-16). Chi dunque si accosta alle Scritture con umiltà, alla ricerca del Signore, troverà una Parola chiara, sicura. I discepoli infatti conoscono la voce di colui che “ha dato la sua vita per loro” (Gv 10,3.14-15). Ma ciò crea fastidio.
Gli Atti degli Apostoli attestano il fastidio che i poteri religiosi provano nel vedere che i discepoli di Gesù si radunano e testimoniano la loro fede senza il permesso delle autorità religiose, anzi senza neppur chiedere il loro permesso, ma confidando unicamente nella parola potente del Signore. L’Evangelo è la sola “potenza” (greco: dynamis) di Dio per la salvezza di ogni credente (Rm 1,16). Una potenza che fa a meno delle potenze che si fondano non sulla parola del Signore ma sulla forza di denari, investimenti, accomodamenti morali. Invece di correggere le abitudini immorali del popolo, ci si piega, adeguandosi ai desideri e alle pratiche della maggioranza, a ciò che “piace” ai molti, e non a ciò che è vero e piace al Signore Risorto.
Ecco una Sua Parola non melensa né carezzevole ma forte e verace. Ai Corinzi che vantavano la loro immoralità, l’apostolo ispirato da Dio scrive:
Non è una bella cosa il vostro vanto. Non sapete che un po'' di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete senza lievito. E INFATTI CRISTO, NOSTRA PASQUA, È STATO IMMOLATO! Celebriamo dunque LA FESTA non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità. Vi ho scritto nella lettera precedente di non mescolarvi coi fornicatori. Non mi riferivo però ai fornicatori di questo mondo o agli avari, ladri o idolàtri, altrimenti dovreste uscire dal mondo! Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello, ed è fornicatore o avaro o idolàtra o maldicente o ubriacone o ladro; con questi tali non dovete neanche mangiare insieme. Spetta forse a me giudicare quelli di fuori? Non sono quelli di dentro che voi giudicate? (1 Cor 5,6 ss.).
Evitare il pensiero malizioso, scansare la malevolenza, odiare la perversità, praticare invece la sincerità e amare la verità, fuggire la fornicazione, ogni genere di fornicazione, rifiutare l’avarizia e l’idolatria; così agiscono il discepolo e la discepola del Signore, tutti i giorni che Dio manda in terra. Qui non siamo né a pasqua né a pasquetta. Qui è in gioco la vita, l’esistenza integrale del cristiano e della cristiana tutti i giorni che Dio ci dà da vivere.
“Quelli di fuori”, che vivono come se Dio non ci fosse, corrano pure alle fornicazioni, alle sbornie, alle droghe – sia stupefacenti sia droghe mentali –, confidino pure nei poteri forti di un mondo caotico in rovina. Per quanto riguarda “quelli di dentro”, che vogliono stare “all’interno” di Cristo, per loro conta Cristo e non il potere, essi rammentano sempre che solo Cristo è stato “immolato”. Occorre rileggere e meditare l’evangelo delle sue sofferenze, mediante le quali egli ha raggiunto la “gloria” della risurrezione, grazie a Dio.
Certo, questo è un evangelo per umili, per ultimi, per chi non aspira a posizioni eccelse, per chi vive per l’occhio di Dio, non per l’occhio sociale, né per l’occhio di facebook. Questo è l’evangelo di chi cerca Dio e mette realmente il Suo regno “prima” di ogni altra cosa (Mt 5,33). I discepoli di Cristo amano e praticano la sincerità e la verità frutto della risurrezione tutti i giorni. E non si mescolano con chi si dice cristiano ed è bugiardo, interessato, fornicatore, avaro, idolàtra, maldicente... Tutti siamo peccatori. Il Risorto vuole la salute morale spirituale di tutti. Ma chi non si ravvede del proprio peccato non gusta la misericordia di Dio. Le “pulizie di pasqua” si fanno ogni giorno. I cristiani agiscono in modo pasquale ogni giorno dell’anno perché “Cristo nostra pasqua” è nel loro cuore sempre.
Páscha in famiglia
Che pasqua si celebra in famiglie sfasciate?
Come può un padre (madre) risposato più volte
spiegare il significato del sangue di Cristo ai propri figli?
“Páscha” non è un errore di stampa. È la traslitterazione greca del termine ebraico “pesah” (fatto derivare da “pasah”, zoppicare o saltellare), che in origine indicava forse un atto di culto. In ogni caso in Esodo 12 il termine indica “passare oltre”. Nella notte in cui Dio colpì i primogeniti degli egiziani (la decima piaga), l’angelo di Dio “saltò” o “passò oltre” le case degli ebrei poiché la soglia e i battenti delle loro case erano asperse con sangue d’agnello. Per il popolo ebraico quella fu la notte della liberazione dalla schiavitù egizia. D’allora in poi nelle famiglie ebraiche si fa memoria di quella libertà. Il padre della famiglia spiega il significato del sangue, cioè il fatto che questo è il “segno” con cui Dio riconobbe le case degli israeliti e risparmiò i loro figli primogeniti. Il pasto della famiglia riunita assieme per consumare agnello arrostito ed erbe amare consolida l’unione della famiglia stessa. Il pasto era lieto e tutte le spiegazioni erano date ai più giovani: “Quando i vostri figli vi diranno: Che significa per voi questo rito? risponderete: Questo è il sacrificio della pasqua in onore dell’Eterno, il quale passò oltre le case dei figliuoli d’Israele in Egitto, quando colpì gli Egiziani e salvò le nostre case” (Esodo 12,26).
È molto probabile che alcuni cristiani di origine giudaica abbiano continuato a rispettare quel pasto serale famigliare in memoria di quella liberazione. Ma la liberazione apportata da Gesù di Nazaret, “agnello di Dio”, è quella dal male. Gesù ama e converte il peccatore liberandolo dalla schiavitù della malizia e della malvagità per condurlo alla libertà spirituale fatta di sincerità e verità (1 Corinzi 5,7-8). Perciò per i discepoli di Gesù la “nostra pasqua” è Cristo stesso, cioè il Messia che adempie le profezie e col suo sacrificio ottiene la liberazione dalla schiavitù del male per chi umilmente vuol seguire Lui (1 Corinzi 5,7b).
Oggi ci troviamo a vivere contraddizioni stridenti. Cristo, col suo sacrificio unico vuole liberarci dal male. Eppure la società che osserva la pasqua accetta adulterio e fornicazione come condizioni normali. Cristo, con la sua redenzione unica, a prezzo del suo stesso sangue, cioè della sua vita, vuole far conoscere la “verità che rende liberi” (Giovanni 8,24 ss.). Eppure la società che pensa d’essere cristiana, ritiene normale che le famiglie si sfascino anche solo dopo un breve tempo dallo sposalizio, e che marito e moglie si risposino più volte, abbiamo figli da unioni o convivenze multiple e continuino in situazioni del tutto contrarie alla volontà di Cristo, quel Cristo di cui si pretende di celebrare la morte-e-risurrezione (!). Eppure proprio la norma morale del Cristo non cambia e continua a dire che “chiunque manda via la moglie, eccetto che per causa di fornicazione, e ne sposa un’altra, la espone ad adulterio, e anche chi sposa una divorziata commette adulterio” (Matteo 5,32). Che pasqua si celebra in famiglie sfasciate? Che insegnamento viene mai dato ai figli in tali condizioni? Come può un padre (madre) risposato più volte spiegare il significato del sangue di Cristo ai propri figli? Occorre riflettere prima di prendere certe decisioni. Solo il ravvedimento può rendere efficace il perdono di Dio.
Nella narrazione biblica Dio si servì di angeli e profeti per adempiere la Sua opera. Ma con la venuta di Cristo Gesù ecco che si è adempiuta la vera “pasqua” di Dio, che è la persona di Cristo Gesù. E si è definitivamente compiuta la rivelazione della volontà di Dio agli uomini. Cristo è il “termine” della legge di Mosè (Romani 10,4). La rivelazione di Dio mediante Cristo Gesù è ultima e definitiva (Ebrei 1,1 ss.).
Eppure, nel corso dei secoli si sono avute varie e stravaganti imitazioni (divenute poi religioni tradizionali di popoli e stati e nazioni) delle realtà che Dio ha proposto e propone in Cristo Gesù. Si può dire che quasi in ogni secolo successivo al primo dopo Cristo si sono avute nuove rivelazioni. Nel VII sec. gli angeli avrebbero portato una rivelazione nuova in Arabia. Nel XIX sec. un angelo avrebbe dotato alcuni profeti americani di nuove rivelazioni. E tutto ciò sarebbe da aggiungere al testo biblico.
È lecito dunque chiedersi se ciò che Cristo ha fatto e detto (vita, “segni”, croce, risurrezione, Evangelo) sia insufficiente, incompiuto, manchevole di qualcosa, bisognoso di aggiunte... Alla luce della rivelazione di Cristo occorre porsi anche qualche domanda critica su queste (ed altre) neorivelazioni. Tali rivelazioni nuove hanno dato vita a realtà e organismi religiosi numerosi, economicamente e politicamente molto potenti. Tuttavia resta certo che il “regno di Cristo” non dipende né dal numero né dalla potenza mondana. Per questa ragione i discepoli e le discepole del Risorto continuano a edificare se stessi sulla “santissima fede”, quella “che è stata una volta per sempre tramandata ai santi” (Giuda v. 20 e v. 3), trasmessa ai credenti di tutte le epoche mediante la tradizione apostolica conservata nei documenti ispirati del Nuovo Testamento. A questi documenti, che attestano la rivelazione definitiva di Dio in Cristo, non occorre né aggiungere né togliere nulla (Apocalisse 22,18 ss.). In questi documenti lo Spirito del Risorto parla, invitando ciascuno a “prendere in dono l’acqua della vita” (Apocalisse 22,16 ss.). Pietro ricorda per scritto ai credenti che la fede in Cristo non è una “favola artificiosamente composta”, ma si basa sulla testimonianza “oculare” degli apostoli stessi (2 Pietro 1,13 ss.).
La fede, per mantenersi genuina e verace, si pone anche qualche domanda seria. Non si può né si deve rispettare Cristo solo a parole. Occorre fondare matrimonio e famiglia sul consiglio buono spirituale del Maestro, che parla nell’Evangelo. In questo modo la nostra intera vita sarà davvero “pasqua” nella sincerità e verità di Cristo Gesù
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