GERICO
Da Gerico a Gerico
Dar credito a bugie è una cosa che succede agli inetti codardi,
che pensano di rifugiarsi nella maggioranza per celare la loro ignavia
Caleb calmò il popolo che mormorava contro Mosè, e disse: «Saliamo pure e conquistiamo il paese, perché possiamo certamente farlo. Ma gli uomini che vi erano andati con lui, dissero: «Noi non siamo capaci di salire contro questo popolo, perché è più forte di noi». E screditarono presso i figli d’Israele il paese (Gerico) che avevano esplorato, dicendo: «Il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo è un paese che divora i suoi abitanti; tutta la gente che vi abbiamo vista, è gente di alta statura; e vi abbiamo visto i giganti, figli di Anac, della razza dei giganti. Di fronte a loro ci pareva di essere cavallette; e tali sembravamo a loro» (Num 13,30 ss.).
Il nome Gerico è pronunciato Ariha dagli arabi, significa profumato e deriva dalla parola cananea reah. È anche pronunciato Yəriḥo in ebraico. Un’altra teoria sostiene che il nome derivi dalla parola Yareah (luna), perché in quella zona si celebrava un antico culto della luna. Detta pure anche “la città delle palme”, Gerico è città della Cisgiordania (con governatorato omonimo), situata presso il fiume Giordano, con una popolazione di circa 18300 abitanti. L’attuale città, abitata da Palestinesi, fu conquistata dallo Stato d’Israele durante la guerra dei sei giorni (1967). Nel 1994 fu la prima città a passare sotto il controllo dell’Autorità Palestinese, secondo gli accordi di Oslo. Dopo una nuova occupazione israeliana, è nuovamente tornata sotto il controllo palestinese nel marzo del 2005. È la città più antica del mondo, situata a 250 m. sotto il livello del mare, apprezzata nel lontano passato come importante crocevia commerciale lungo la direttrice NE. Fu molto presente nelle vicende bibliche e storiche (cfr. Deut 34,3; Giud 16; 3,13; 2 Cron 28,15).
Gerico fu porta d’ingresso del Paese agognato come “Terra Promessa”. La Gerico odierna sorge a diversi chilometri dal sito originale; per la sua posizione è da sempre un luogo conteso da parti avverse. È purtroppo lambita dall’impari guerriglia dell’infinito conflitto etnico, su basi (pseudo) religiose, fra Palestinesi e Israeliani, poiché la “striscia di Gaza” – terra senza Stato – è a pochi chilometri di distanza. Gaza fu conquistata nel XIV sec. a.C. (Gios 6,16 ss.).
Questi luoghi videro la realizzazione del piano di salvezza in Cristo ma continuarono pure ad essere triste teatro di drammatiche vicende. Nel 4 a. C. vi morì Erode il Grande, che condannò a morte Giovanni Battista (Mc 6,17 s.). Per il suo valore storico Gerico assumerà anche significati simbolici profondi, rappresentando la cultura secolarizzata contrapposta a quella espressa da Gerusalemme, “luogo” simbolo di spiritualità, perché la salvezza del mondo viene dai giudei (Gesù Cristo era giudeo! Gv 4,22 ss.). Tale salvezza e la sua universalità non furono accolte con facilità dagli stessi ebrei , che si reputavano interlocutori esclusivi nel dialogo tra Dio e l’umanità. Nella celebre parabola del buon Samaritano, il protagonista è diretto a Gerico, che può essere vista perciò come simbolo del superamento delle antiche separazioni, degli intollerabili pregiudizi e anche come segno di misericordia. Di più, l’esercizio della misericordia è attuato da un samaritano che, per gli ebrei (rabbini, sacerdoti), non può ottenere salvezza, colpevole com’è di discendere da coloro che si contaminarono (purezza della razza?) con donne pagane all’epoca della prima deportazione in Assiria (721 a. C. – più tardi vi sarà una analoga amara esperienza per mano di Nabucodonosor, 587 a. C.).
Ricapitoliamo. Il protagonista della parabola, l’odiato samaritano, procedeva da Gerusalemme verso Gerico. Durante il cammino prestò soccorso a un viandante, che taluni insegnanti delle cose di Dio avevano ritenuto indegno d’essere aiutato. Il samaritano invece si ferma e soccorre il malcapitato coi propri mezzi. Da quel momento in poi, il “prossimo” sarà, o dovrebbe essere, colui che userà misericordia verso una persona bisognosa d’assistenza, a prescindere dal suo status sociale (Lc 10,29 ss.). Gerico diventerà perciò il luogo simbolo del superamento del pregiudizio che nasce da “ragionamenti malvagi” (Gc 2,4).
Gesù apporrà perciò il sigillo del suo passaggio a Gerico (Lc 18,38 ss.). Qui era solito mendicare il povero cieco Bartimeo (= figlio di Timeo, Mc 10,46 ss.). Era cieco, ma non sordo. Udì distintamente i rumori della folla in cammino e domandò cosa fosse. Appena apprese che passava Gesù, ne richiamò l’attenzione urlando il suo nome, riconoscendo in esso il titolo che spettava profeticamente al Messia, figlio di Davide, e invocò pubblicamente pietà per sé. Alcuni fra quelli della folla, incuranti del suo grido d’aiuto, gli intimarono il silenzio, quasi a far muro per separare il cieco dal Signore. Questa fu la reazione di quella folla. Bartimeo insistette, gridò ancora per non perdere l’occasione. Gesù ne ascoltò l’urlo d’implorazione. Si fermò. Ordinò che glielo conducessero e gli chiese che cosa desiderava che gli facesse. Bartimeo espresse il desiderio di riavere la vista e lo chiamò “Signore”, dimostrando di vederci chiaro nell’identificazione messianica di Gesù.
Parecchi secoli prima, dodici israeliti furono inviati da Mosè a Gerico per perlustrare la città e pianificarne la conquista. Dieci esploratori s’impressionarono molto per ciò che (non) videro, sconsigliando quello che ritenevano un attacco suicida. Due dei dodici, Caleb e Giosuè, ragionarono in modo opposto; non perché minimizzassero il rischio, non perché negassero le difficoltà, ma perché videro con gli occhi della fede: le avversità, per quanto enormi, confidando nell’assistenza dell’Eterno, sarebbero state superate. Così credettero i due esploratori fedeli. I dieci invece mostrarono cecità spirituale. Dieci a due. Vinse la maggioranza, umana e stolta, come spesso accade, che decise il ritiro. Non ebbero fiducia nel Signore, che parlava mediante Caleb e Giosuè; credettero invece a dieci codardi bugiardi – dar credito a bugie è una cosa che succede quasi sempre agli inetti vigliacchi, che pensano di rifugiarsi nella maggioranza per celare la loro ignavia.
Più tardi, quando il popolo, preso da sensi di colpa, osò affrontare gli stessi nemici, perse sonoramente la battaglia. Ciechi prima, e ciechi dopo. Presso quella stessa città, il cieco Bartimeo riuscirà a vedere con gli occhi della fiducia la natura messianica di Gesù in modo limpido, netto, e nonostante la folla/maggioranza che lo ostacolava.
Ancora oggi il passaggio del Signore nella nostra vita dovrebbe/deve abbattere i nostri antichi muri mentali, come Cristo ha abbattuto “il muro di separazione” (Ef 2,14) costruito sull’egemonia di modelli umani; dovrebbe/deve illuminare di nuova luce i nostri occhi miopi; dovrebbe/deve vincere la nostra diffidenza incredula dinanzi alle avversità sociali e personali; dovrebbe/deve cambiare la direzione del nostro modo di ragionare, se davvero ci reputiamo discepoli di Cristo (Gv 8,31 s.).
Ognuno di noi è un po’ un Bartimeo guarito; ciascuno dovrebbe perciò ricordare la parola di Pietro:
Per questo mettete ogni impegno per aggiungere alla vostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza, alla conoscenza la temperanza, alla temperanza la pazienza, alla pazienza la pietà, alla pietà l’amore fraterno, all''amore fraterno la carità. Se queste cose si trovano in abbondanza in voi, non vi lasceranno oziosi né senza frutto per la conoscenza del Signore nostro Gesù Cristo. Chi invece non ha queste cose è cieco e miope, dimentico di essere stato purificato dai suoi antichi peccati. Quindi, fratelli, cercate di render sempre più sicura la vostra vocazione e la vostra elezione. Se farete questo non inciamperete mai. Così infatti vi sarà ampiamente aperto l’ingresso nel regno eterno del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo (2 Pt 1,5 ss.).
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Maurizio Santopietro – 04 2017
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