MEGLIO DI HALLOWEEN
Meglio di Halloween
Il termine “addormentarsi” non è un semplice eufemismo, ma il modo in cui la Scrittura
parla di morte con fiducia e amore, il modo in cui essa considera e presenta la morte.
Un Lettore chiede se i morti nell’ades (soggiorno dei morti) hanno coscienza, se hanno conoscenza. Domanda interessante. Paolo apostolo scrive la prima lettera ai Tessalonicesi (4,13) anche per fugare l’ignoranza (intesa come ignorare, non conoscere) su questo tema, perché ciò che è ignoto genera appunto forme d’ignoranza. Siamo già così PIENI DI FESTE VARIE che non ci sarebbe bisogno di importarne altre, ma tant’è.
Il tema esigerebbe uno studio articolato, ma qui ci si limita a qualche considerazione. Paolo parla di “fratelli che si sono addormenti nel sonno della morte” e che quindi sono in attesa che qualcuno li risvegli. Ieri come oggi l’ignoranza è causata da mancanza di studio serio del testo biblico e da strane frequentazioni di libretti, manuali, internet, ecc., spesso senza alcun senso critico.
Il testo biblico conosce il termine “thánatos” (morte), ma quasi sempre ne parla come di un ADDORMENTARSI, UN SONNO. Non si tratta dunque né di distruzione, né di annichilimento della persona. Il termine “addormentarsi” non è semplice eufemismo, ma il modo in cui la Scrittura ispirata da Dio ci parla con fiducia e amore, il modo in cui essa considera e presenta la morte, una realtà immaginata invece come nera figura incappucciata con la falce in mano: fantasmi, spavento, “halloween” – che è facile mercato, non certo “santificazione” (“hallow” vuol dire santificare, venerare).
Nella Bibbia ebraica si “muore” nel senso che ci si riunisce ai propri padri o antenati. Nel Nuovo Testamento invece Stefano “si addormenta nel Signore” (Atti 7,66). Paolo apostolo afferma che “Dio condurrà con Gesù coloro che si sono addormentati” (1 Tes 4,14). Qui lo scopo del’Autore ispirato è di CONSOLAZIONE (4,18). Essere “condotti con” Gesù è infatti di grande conforto per i credenti addormentatisi prima del suo ritorno, e anche per noi stessi, che quel ritorno attendiamo.
Per Paolo “il vivere è Cristo e IL MORIRE GUADAGNO!” (Fil 1,21). Il che è vero per ciascun credente che davvero viva imitando il Cristo. Se infatti il mio vivere è Cristo, ne segue che il mio morire è “guadagno”. Ovvero, come Paolo aggiunge poco dopo, il mio morire è “cosa di gran lunga migliore” perché vado “con” Cristo (1,23). Qui e ora vivo “in” Cristo, la mia vita è Cristo. Quando mi addormento ci guadagno nel senso che vado “con” Cristo. Gli sono quindi più vicino. Anche se è difficile dire, ora, il senso di questo “guadagno”. So per fede che ci sarà da “guadagnare”, e in qualche modo dovrò pur avere COSCIENZA di tale “guadagno”, altrimenti che “guadagno” sarebbe?
Ovviamente qui non si tratta di una coscienza da SEDUTE SPIRITICHE O DA MEDIATORI E INTERCESSORI, realtà estranee all’Evangelo di Cristo. Si tratta invece di una vicinanza all’amore del Signore più intensa di quella che godo ora. Anche perché oggi potrei perdere quell’amore, se lo tradisco o lo rinnego; se invece oggi opero per il Signore, domani muoio in Lui e mi riposo dell’opera compiuta, e per questo sono “beato” (Ap 14,13: ci “guadagno” davvero!).
Ancora Paolo, nel suo meraviglioso trattato sulla risurrezione in 1 Cor 15, in particolare al v. 20, scrive: “Cristo è risorto dai morti, il primo (primizia) tra coloro che si sono addormentati”. I corpi, come semi, alla morte vengono interrati, ma uno di essi (Cristo primizia, appunto) è già risuscitato a vita superiore, spirituale, realmente divina. Perciò, se è risorto Gesù, risorgeremo tutti! Dunque, il credente che è “morto con Cristo” NELL’IMMERSIONE IN ACQUA E SPIRITO, partecipa poi alla vita di Cristo, si comporta secondo criteri di “vita nuova” e, come il Risorto, “non muore più” (Rom 6,9). Di qui l’insegnamento pratico dell’Evangelo, direttamente connesso alla domanda capitale: “Credi tu questo?” Il “credere” intenso nel Risorto e nella vita nuova vissuta sul suo esempio costituisce la confessione di fede fiduciosa dei discepoli (Gv 11,25 s.). Nell’Evangelo il “thánatos” (morte) è realissimamente assorbito dalla vita. Per il discepolo di Cristo la morte non esiste.
Nel più famoso dei suoi monologhi, “Essere o non essere, questo è il problema...”, Amleto sta per porre fine alle sue angustie col pugnale. Ma ha un’esitazione, ha paura. Perché? Perché pensa che “morire” è un “dormire” e quindi forse un “sognare”. E durante quel sonno teme di avere incubi dai quali nessuno lo potrà risvegliare! Quale differenza rispetto al discepolo di Gesù! Il credente dorme sereno, più vicino di prima all’affetto del Signore, “primizia” dei dormienti e garanzia della loro risurrezione. Lazzaro va “in braccio ad Abramo”; il discepolo di Cristo va a dormire “SUL PETTO DI GESÙ”, come Giovanni durante l’ultima Cena. Questa non è retorica, ma notizia buona annunciata dal Signore. E beato è chi vuole imparare a fidarsi della parola di Cristo, l’unico affidabile.
© Riproduzione riservata
Roberto Tondelli – 11 2017
Vedi allegato
Torna alle riflessioni