A UN AMICO ATEO
A un amico ateo
L’ateismo (come del resto la fede) è una scelta molto personale. Spesso è una scelta a cui
si arriva dopo grandi sofferenze interiori o dopo esperienze religiose non proprio costruttive
Qualche settimana fa è stato a Siracusa un professore che ha tenuto una lezione su etica e scienza. Spesso le manifestazioni culturali cittadine passano inosservate dai più – la cosa fa forse rivoltare nelle tombe “a grotticelle” gli antichi siracusani, i quali invece seguivano da vicino la cultura del loro tempo. Un breve articolo che introduceva l’incontro annotava che il professore è ateo e ha scritto un libro sul buon uso dell’ateismo (Al museo “Paolo Orsi” lectio magistralis del filosofo e matematico Giulio Giorello, Libertà Sicilia, 16/02/2018). Due osservazioni sembrano appropriate.
La prima. Non mi è ben chiaro che cosa abbia a che fare una conferenza su etica e scienza con l’ateismo quale scelta personale di chi presenta la lezione – a meno che non si tratti semplicemente di fare pubblicità al libro del professore. È un po’ come se si dicesse che Andrea Camilleri è un ottimo scrittore contemporaneo, che ha scritto tante cose, fra cui i romanzi di Montalbano, e poi si sottolineasse che è ateo. Non è che l’essere atei aggiunge o toglie valore a una lezione, buona o cattiva, su un dato argomento o a un pezzo di letteratura, sia esso buono o meno buono.
La seconda osservazione è che l’ateismo, come del resto la fede, intesa come fiducia, è una scelta molto personale. Spesso è una scelta a cui si arriva dopo grandi sofferenze interiori o dopo esperienze religiose non proprio costruttive. I libri scritti pro e contro l’ateismo sono un’infinità. Ma forse nessuno dovrebbe parlare di ateismo senza prima aver letto e meditato un testo intitolato Dio esiste? scritto da Hans Küng nel 1978. Egli prende sul serio tutti gli argomenti che i filosofi moderni hanno addotto a favore dell’ateismo, presentando risposte che fanno pensare.
Chi vuole imparare ad acquisire familiarità con la Sacra Scrittura non rinuncia allo svelamento della grandezza di Dio e alla consolazione di Dio. Anzi non c’è proprio nessuna ragione – né sentimentale né razionale – per cui uno dovrebbe fare una tale rinuncia. Per chi vuole, ecco due brani della Scrittura che esortano alla fede fiduciosa nel Dio che si rivela nel Messia Gesù.
Il primo brano è tratto da un Salmo, una composizione poetica, la quale ammira l’opera divina che realmente desta la meraviglia di quanti si fermano a riflettere dinanzi ad essa:
I cieli raccontano la gloria di Dio / e il firmamento annuncia l''opera delle sue mani. / Un giorno rivolge parole all''altro, / una notte comunica conoscenza all''altra. / Non hanno favella, né parole; / la loro voce non s''ode, / ma il loro suono si diffonde per tutta la terra, / i loro accenti giungono fino all''estremità del mondo. / Là, Dio ha posto una tenda per il sole, / ed esso è simile a uno sposo ch''esce dalla sua camera nuziale; / gioisce come un prode lieto di percorrere la sua via. / Egli esce da una estremità dei cieli, / e il suo giro arriva fino all''altra estremità; / nulla sfugge al suo calore. / La legge del Signore è perfetta, / essa ristora l''anima (Salmo, 19).
Peccato che, come osservò una volta Elémire Zolla (1926-2002), l’uomo moderno sia troppo distratto per fermarsi a osservare e mirare le bellezze del creato.
Il secondo brano è tratto dal Nuovo Testamento, da uno scritto di Paolo in cui la parola più usata è “consolazione”, non un pio desiderio né la proiezione di un pio desiderio. La consolazione in Dio costituisce piuttosto la risposta del “Dio di ogni consolazione” alle mille afflizioni e ai mille dolori che l’essere umano sopporta.
Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra afflizione, affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione; perché, come abbondano in noi le sofferenze di Cristo, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. Perciò se siamo afflitti, è per la vostra consolazione e salvezza; se siamo consolati, è per la vostra consolazione, la quale opera efficacemente nel farvi capaci di sopportare le stesse sofferenze che anche noi sopportiamo. La nostra speranza nei vostri riguardi è salda, sapendo che, come siete partecipi delle sofferenze, siete anche partecipi della consolazione... (2 Corinzi, 1).
Questa consolazione che rafforza nel dolore, che incoraggia a vivere nonostante tutto il male e la malignità, che sprona alla riflessione e al comportamento pratico positivo pur in mezzo a sofferenze e maldicenze subìte, questa consolazione fondata e radicata sulla parola di Cristo espressa nell’Evangelo non ha nulla di consolatorio, non è una cura palliativa. Essa è la forza stessa dello spirito di Dio che sostiene il credente. Per quale ragione uno dovrebbe rinunciarci? Amico ateo, non sai che cosa perdi.
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Roberto Tondelli – 03 2018
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