Riflessioni

TEMPIO

Tempio Il Signore del cielo e della terra non abita nei templi ma informa l’etica del credente Il tempio, la sua costruzione, la sua proprietà e gestione economica, costituisce forse l’attestazione più forte e continua nel tempo della potenza di un gruppo religioso. Il tempio, infatti, s’innalza ad affermare la possibilità concreta di disporre dei grandi fondi economici e dei sostegni politici necessari alla sua costruzione. La parola “tempio” significa “spazio o recinto sacro” (greco, témenos), quindi luogo consacrato al culto di una o più divinità rappresentate in genere da immagini ritenute sacre. I cristiani delle prime generazioni, che seguivano l’insegnamento apostolico, e quelli che ancor oggi lo seguono, non costruirono né utilizzarono templi, e ciò per almeno due ragioni. Il tempio era associato al culto di divinità pagane e quindi ben difficilmente i discepoli di Cristo ne avrebbero accolto l’uso, anche perché, motivazione più forte, l’insegnamento di Gesù e degli apostoli sul tempio impediva ai discepoli del Maestro di adottare templi cristiani. Vediamo in breve qual è questo insegnamento, che resta tutt’oggi valido perché proposto dalla parola di Cristo espressa nelle Scritture. Nel corso di una conversazione cordiale, ma inizialmente ostacolata da razzismo (“come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una samaritana?”), una donna di Sicar dice a Gesù: Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte [il Garizim, ritenuto “sacro”] e voi ebrei dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre… Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre mediante lo Spirito e in verità; infatti il Padre cerca tali adoratori. Dio è Spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo mediante lo Spirito e in verità» (Giovanni 4, 23 ss.). Giovanni scrive il suo evangelo intorno alla fine del primo secolo, quando già la divisione tra comunità di Cristo e sinagoga ebraica si era compiuta. Gesù dunque cancella, una volta per sempre, ogni spazio o recinto “sacro”: né sul monte Garizim né al tempio di Gerusalemme! Egli conferisce invece grande valore esclusivo all’adorazione offerta a Dio “mediante lo Spirito di Dio”, come scriverà poi Paolo (Filippesi 3,3), e attuata “in verità”, la verità portata da Cristo: non “le ombre” della legge di Mosè (come le chiama la Lettera agli Ebrei 10,1 ss.), né le imitazioni samaritane, pagane o cristiane. Per la verità di Cristo “dovunque due o tre sono radunati nel mio nome, qui io sono in mezzo a loro” (Matteo 18,20). Ed è noto che per generazioni i discepoli e le discepole si incontrarono in case private o in semplici luoghi di riunione. Quel che vale, infatti, non è tanto il luogo in sé e tantomeno il “recinto sacro”, ma proprio l’incontro stesso di credenti, anche in presenza di non credenti, riuniti assieme attorno alla parola sapiente del Cristo (1 Corinzi 14,23 ss.; Atti 12,12; in Giacomo 2,2 la riunione cristiana è chiamata sunaghoghé, sinagoga significa infatti assemblea). Gli stessi apostoli compresero bene l’insegnamento di Gesù sulla questione del “tempio”. Ecco le parole limpide di Paolo che, parlando ad Atene, dichiara: Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dèi. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un altare con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani dell’uomo né dalle mani dell''uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: Poiché di lui stirpe noi siamo (Atti 17,22 ss.). Di questo brano si sottolinea qualche insegnamento ben comprensibile e attuabile. Dio “non dimora” in templi costruiti dalle mani dell’uomo: semplicemente, nei templi Dio non c’è. L’affermazione è in sé un colpo gravissimo per l’antica mentalità pagana e un’attestazione serissima per la nuova mentalità cristiana. La prima, infatti, vede svuotato di significato il tempio come “spazio sacro” e, quindi, l’adorazione templare. La seconda avrebbe dovuto apprendere che il Fattore “del mondo e di tutto ciò che contiene”, il “Signore del cielo e della terra” “non dimora in templi costruiti dalle mani dell’uomo”. L’espressione riecheggia quella catechistica “Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo”: ad eccezione dei “templi costruiti dalle mani dell’uomo”. Si nota che l’affermazione di Paolo è la citazione semi letterale di un brano del discorso tenuto da Stefano prima di essere ucciso con il decisivo concorso di Saulo/Paolo. Nel resoconto lucano, ecco le parole che Stefano pronuncia sul finire del suo lungo discorso: [Davide] trovò grazia al cospetto di Dio e supplicò di poter lui preparare una dimora per la casa di Giacobbe. Fu invece Salomone quello che gli edificò il tempio. L’Altissimo però non abita in templi fatti da mano d’uomo, come dice il profeta: Mio trono è il cielo e sgabello dei miei piedi è la terra. Quale tempio mi edificherete, dice il Signore, e quale sarà il luogo del mio riposo? Non ha la mia mano fatte tutte queste cose? O duri di cervice e incirconcisi di cuore e d’orecchi... (Atti 7,46 ss.). Queste parole dovettero inchiodarsi nella mente del rabbino Saulo, che ben conosceva Isaia (66,1 s.). Paolo cita Stefano, il quale cita Isaia: l’Altissimo però non abita in templi fatti da mano d’uomo. Non solo Dio non abita dunque nei templi pagani, come afferma Paolo, ma neppure nel tempio salomonico, come afferma Stefano, né nel primo tempio edificato da Salomone (1 Re 6-8) e distrutto da Nabucodonosor nel 586 a.C. né nel “secondo tempio”, riedificato nel 516 a.C. (Esdra 6,3 ss.) e poi abbellito da Erode il Grande – sarà poi definitivamente distrutto dai Romani il 10 del mese di Loos dell’anno 70 d.C. Si osservi, tuttavia, che entrambe le affermazioni si fondano sul profeta messianico Isaia che già otto secoli prima di Cristo aveva intuito e proclamato la grande verità sul dove Dio non abita. Ora, siccome “il mestiere del lettore è di capire, a qualunque costo”, sorge qui la domanda cruciale: Dio abita nelle basiliche, nelle cattedrali, nei magnifici templi cattolici o protestanti, nel Tempio della Chiesa di Cristo (dei santi degli ultimi giorni) che si sta per inaugurare a Roma? Chi desidera esercitare il mestiere di lettore che vuole intendere, e intendere a qualunque costo, può rispondere. Anzi deve. Secondo Isaia, Stefano, Paolo e Cristo Gesù, il tempio sembra essere più che altro monumento alla potenza economica, glorificazione dell’umana grandezza, la quale disubbidisce a quel “Signore del cielo e della terra” in cui dice di credere. Alla cecità dell’uomo che cammina e cerca “come a tentoni”, Dio risponde facendosi trovare, standogli vicino, donando vita, dinamicità ed esistenza a ogni persona: e tutto ciò avviene ben al di fuori dei “templi costruiti dalle mani dell’uomo”. Gesù dice di non avere dove posare il capo (Matteo 8,20), ma in Suo nome si erigono templi costosi. Molto veracemente gli apostoli insegnano: “Non sapete voi che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi, il quale avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi?” (1 Corinzi 3,16). Ecco il vero tempio di Dio, il corpo della discepola e del discepolo. E ancora: “Quale accordo [esiste] fra il tempio di Dio e gli idoli? Poiché noi siamo il tempio del dio vivente, come disse Dio: Io abiterò in mezzo a loro e camminerò fra loro; e sarò loro Dio, ed essi saranno mio popolo (2 Corinzi 6,16). Il lettore che legge con cura il contesto di entrambi questi brani si avvede che il richiamo templare rimanda ad una forte etica in Cristo, senza la quale resta solo la parodia della fede. Peccato che queste verità buone non bastino alla umana incoerenza. Beati coloro che, per amore del Signore, si fidano della Sua parola sapiente e verace, parola che non mente né illude, parola nobile che merita umile fiducia e ubbidienza amorevole. Il resto è vanità. © Riproduzione riservata R. Tondelli – 04 2018

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