Riflessioni

AVANZATA DEL DESERTO

L’avanzata del deserto Ecco io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate le campagne, come già sono bianche per la mietitura. Or il mietitore riceve il premio e raccoglie il frutto per la vita eterna, affinché il seminatore e il mietitore si rallegrino insieme (Gv 4,35 s.) La terra, assieme ad altre attività economiche rilevanti, costituiva un tempo la fonte primaria di sostentamento e occupava perciò il maggior numero di lavoratori. Il “pezzo di terra” era una sorta di grazia, di benedizione divina, oltre ad assumere inevitabilmente significati simbolici del proprio stato sociale. La fertile terra, però, bisogna rispettarla, curarla col duro lavoro della fronte (Gen. 3,18). Un tempo ciò avveniva con naturalezza. Con lo sviluppo tecnico e scientifico applicato alla produzione agricola intensiva, il rapporto fra l’uomo e la terra è stato stravolto anzi, in questo ultimo secolo, è peggiorato in considerazione dell’inquinamento ambientale e dell’effetto serra. Ne è responsabile il “fattore antropico”, che è una bella espressione per dire le schifezze introdotte dall''uomo. Tale fattore ha alterato le leggi che sottostanno all’equilibrio eco sistemico. L’estensione della desertificazione degli ultimi decenni è la minaccia più seria per la salute del pianeta e dell’umanità intera. Lo storico dell''ambiente, professore Pietro Tino, scrive: “L’erosione dei suoli e la riduzione della loro fertilità non è però un fenomeno nuovo. Antico quanto il mondo, esso ha subito un’accelerazione con la nascita e la successiva diffusione dell’agricoltura e si è ulteriormente allargato ed accentuato a partire dal XV secolo con l’espansione coloniale europea, finendo con l’interessare l’intero pianeta […]. Secondo le indicazioni delle Nazioni Unite oltre il 25% delle terre coltivate del pianeta – e ben il 70% delle terre aride – è colpito dalla desertificazione. Ogni anno circa 10-12 milioni di ettari di terra vengono investiti da processi di degrado della loro fertilità. Il fenomeno è particolarmente grave in Africa, Asia, Sud America, Caraibi, ma interessa anche gli Stati Uniti, l’Australia e l’Europa e in particolare l’Europa mediterranea. Nell’Africa subsahariana a causa della crisi di fertilità del suolo, circa 265 milioni di persone sono colpite da carenze alimentari. La sola Nigeria, la nazione più popolosa del continente africano, con circa 170 milioni di abitanti, perde ogni anno, a causa della desertificazione, oltre 350 mila ettari di pascoli e di terreni agricoli coltivabili. Gran parte delle migrazioni che muovono da quelle regioni in direzione dell’Europa o di altre destinazioni sono prodotte dalla crisi di fertilità dei suoli coltivabili e dei pascoli” (Il Manifesto, 02/08/2018). Il presente e il futuro prossimo della vita planetaria sono minacciate dal rischio dall’avanzata del deserto. Lo scenario qui descritto può ben essere la metafora concreta dello stato spirituale in cui vive l’uomo moderno. L’estensione della desertificazione sembra esprimere l’aridità dell’anima umana, altro tipo di desertificazione. C’è allora bisogno sempre più di persone che “coltivino” la terra, la “vigna del Signore” (Mt 20,1 ss.; 21,33 ss.) ovunque nel mondo, ma che lavorino al modo di Dio. Il “seme spirituale” richiesto da Dio è la parola di Verità (Mt 13,1 ss), il terreno da seminare è il “cuore dell’uomo”, che è sempre vario: roccioso, arido, sabbioso, spinoso, spesso inadatto ad essere seminato, ma c''è anche quello buono (Mt 13,8). Può accadere che ci si abitui non tanto al buon seme, quanto piuttosto al concime usato da chi semina. Concime, significa esaltazione della creatura invece del Creatore (Rom 1,25) e, quindi, innamoramento di insegnamenti umani così spesso contrastanti con la volontà divina. Ciò avveniva anche anticamente, quando fra i primi discepoli si diceva: “Io sono di Paolo, io sono di Apollo, non siete voi carnali? Chi è dunque Paolo e chi è Apollo, se non servitori per mezzo dei quali voi avete creduto, e ciò secondo che il Signore ha dato a ciascuno? Io ho piantato, Apollo ha annaffiato, ma Dio ha fatto crescere. Ora né chi pianta né chi annaffia è cosa alcuna, ma è Dio che fa crescere” (1 Cor 3,4 ss.). “Carnale” è qui il modo di pensare quando Dio è estraneo alla mente e, quindi, un modo di pensare (e agire) in disarmonia con la rinascita spirituale attuata nel battesimo (Rom 6,1ss). In tutte le chiese, anche in quelle che si rifanno a Cristo, esiste il rischio che le correnti di pensiero prevalgano sull''insegnamento del Signore. Il terreno (mente) della persona accoglie queste tipologie di semina quando chi ascolta non analizza con cura la bontà del seme e si affida semplicemente al seminatore. Ciò è contrario a buon agire: “Ora costoro [gli ascoltatori di Berea] furono di sentimenti più nobili di quelli di Tessalonica e ricevettero la parola con tutta prontezza, esaminando ogni giorno le Scritture per vedere se le cose stavano così” (Atti 17,11). I bereani, quindi, furono accorti nella verifica di ciò che Paolo apostolo in persona predicava loro. Per questo egli li elogiò rispetto a quelli di Tessalonica, che pure ricevettero l’insegnamento di Sila e Paolo con immediatezza, cioè forse con minore mediazione riflessiva (Atti 17,1 s.; 1 Tes 2,13). Quelli di Berea valutarono lo spirito (e le parole) di colui che avevano davanti (1 Gv 4,1ss ), così come oggi è richiesto a chi voglia essere un credente maturo. Come gli agricoltori usano talvolta sofisticazioni, tecnologie e sostanze chimiche per le coltivazioni intensive, sfruttando la terra oltre il naturale limite di produzione per ricavare guadagni esagerati, anche certi predicatori, sempre più numerosi purtroppo, manipolano “tecnicamente” il seme. Cercano così di adattare la parola di Dio a persone e tempi. Ma Paolo scrive: “Noi non falsifichiamo infatti la parola di Dio come molti altri, ma come in sincerità, ma come da parte di Dio, parliamo davanti a Dio in Cristo” (2 Cor. 2,17). Questo modo di usare la parola, aggiornandola in base agli usi, costumi e mode culturali del momento o a particolari credenze in voga, è una preoccupazione molto sentita dagli autori sacri (2 Tim. 4,1 ss.), tanto che lo stesso Paolo affermerà solennemente: “Mi meraviglio che da colui che vi ha chiamati mediante la grazia di Cristo, passiate così presto ad un altro evangelo, il quale non è un altro evangelo; ma ci sono alcuni che vi turbano e vogliono pervertire l’evangelo di Cristo. Ma anche se noi anche o un angelo dal cielo vi predicasse un evangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato, sia maledetto” (Gal. 1,6 ss.). Non si trova in nessun altro passo neotestamentario un’affermazione così severa, nemmeno nel caso di quel Simone mago che tentò di comprare il dono di trasmettere lo Spirito santo (Atti 8). La dura asserzione viene ribadita seriamente (Ga1. l,9). Ciò deve far riflettere: se la sofisticazione della Parola preoccupava profondamente gli apostoli e i discepoli dell’epoca, deve/dovrebbe, preoccupare anche noi oggi, se amiamo fare la volontà del Padre (Gv. 4,34). Anzi, la nostra responsabilità è assai maggiore della loro, avendo noi ricevuto l’insegnamento del Maestro nella sua versione definitiva ed essendo agevolati dalla restrospettiva (Giuda v.3; Ap. 22,18 ss.). Se, per esempio, la gran parte dei membri di una comunità (2 Cor. 2,6) attua azioni di amorevole riprensione verso un fratello che ha agito male, nessun altro membro o predicatore di altra chiesa potrebbe/dovrebbe intervenire nella questione o, se lo facesse, non dovrebbe prescindere dal provvedimento comunitario adottato. Infatti, quel tale “ripreso dalla maggioranza”, se non si ravvede, rimane “legato” al suo peccato fino al momento del suo sperabile pentimento (2 Cor. 2,6 + Mt. 18,15 ss.). Cosa ancor più grave sarebbe contrastare la decisione comunitaria, fino a ribaltarla usando in modo strumentale le Scritture. Ciò non favorirebbe il ravvedimento del peccatore, il quale si sentirebbe invece incoraggiato nel suo orgoglio. Oggi c''è l''abitudine – in realtà antica – di formare strane maggioranze, basate non su ciò che la Scrittura insegna in modo autorevole, ma su un criterio diverso, eccolo: “Verrà il tempo in cui non sopporteranno la sana dottrina ma, per prurito di udire, si accumuleranno dottori secondo le proprie voglie e distoglieranno le orecchie dalla verità per rivolgersi alle favole” (2 Tim. 4,3 s.). Il criterio delle voglie e delle favole non è in armonia con la Scrittura. “Cattivi operai” (Mt. 21,33 ss.) si dimostrano poi anche coloro che impediscono in modo subdolo l’accesso al Signore e quindi alla sua chiesa, che è sua e non nostra (3 Gv. 1,9). La speranza è che chi in un primo tempo ha operato male nella vigna del Signore possa poi ravvedersi (Mt 21,28 ss.). Occorre solo ricordare che bisogna operare secondo le norme di Cristo, non secondo le nostre (2 Tim. 2,5). Oggi si apprezza sempre più la coltivazione biologica, caratterizzata da metodi e concimi naturali, senza aggiunta di sostanze chimiche o sofisticazioni. Analogamente, nel lavoro del Signore è necessario deporre “ogni lordura e malizia” e ricevere con mansuetudine la parola che Egli ha piantata e che salva le anime (Gc. 1,21). Occorre pertanto essere soprattutto facitori e non solo uditori della Parola se non si vuole illudere se stessi e gli altri (Gc. 1,22). Tutti, discepoli e discepole, e soprattutto coloro che predicano, debbono attuare una coltivazione d’amorosa coerenza con il seme, con il terreno e nei confronti del mietitore. Così la pianta buona della nuova vita in Cristo potrà spuntare dal terreno buono e dare i suoi frutti meravigliosi! © Riproduzione riservata – 08/2018 Maurizio Santopietro

Vedi allegato

Torna alle riflessioni