LA VITA INCONTRA LA MORTE
Gesù, la vita incontra la morte
Sensibilità e affetto verso le donne sembrano perduti per far posto spesso alla violenza. Così come sembra essersi smarrito il senso del rispetto e della gratitudine rivolti a Dio. Leggevo recentemente che Siracusa non è proprio ai primi posti in Italia per la qualità della vita. Eppure due cose belle e di qualità ci sono. Una è il mare e le varie viste sul mare. L’altra è la possibilità di camminare abbastanza agevolmente ovunque e in qualsiasi direzione. E camminando si notano anche scritte e fiori lasciati da genitori a cui sono morti i figli per incidenti stradali. E le loro parole fanno sempre riflettere, specie se si va a piedi.
Secondo l’evangelista Luca, Gesù ha una grande sensibilità e sincero affetto verso le donne. In particolare verso donne povere quali erano le vedove, che nel primo secolo occupavano il gradino più basso della scala sociale. In una certa occasione accade che Gesù si reca in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Così narra Luca: Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!» E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo» (Luca, 7; nero mio).
Oggi sembra che sensibilità e affetto verso le donne siano perduti per far posto, spesso, alla violenza contro di loro. Così come sembra essersi smarrito il senso del rispetto (timore) e della gratitudine (gloria) rivolti a Dio. Nessuno sembra più attendere il grande profeta Gesù che viene a visitare il suo popolo. A nessuno sembra che interessi più far parte di questo nobile popolo (popolo, non congreghe né confraternite). Invece di unirsi nella comune accoglienza, i popoli si dividono di nuovo in nazioni, l’una contro l’altra armate, in difesa di interessi nazionalistici e locali – talvolta molto locali. Eppure Gesù è il Vivente che ha saputo uccidere la morte mediante la risurrezione.
Ciò che avvenne a Nain fu solo una pallida anticipazione della risurrezione ben più gloriosa di Gesù stesso. Invidia, presunzione, ignoranza furono gli assassini di Gesù. La potenza del Padre lo risuscitò dai morti. Felice chi oggi impara a credere in Gesù e a fare la sua volontà per amore, convertendosi alla sua Parola nobile. Misero il maldicente che disprezza questa Parola. E siccome viviamo in un’epoca scettica, occorre rispondere, sia pur in breve, alla domanda: Quale risurrezione?
Scettici e materialisti sembrano dominare su credenti e fiduciosi. Pochi sembrano ancora credere alla risurrezione come la insegna Cristo. I più preferiscono la vita quaggiù e alcuni sono indotti a credere, e di fatto credono, a una resurrezione materialistica, quando si spartiranno ville e terreni. La stoltezza è multiforme. Il capitolo 15 della Prima Lettera di Paolo ai Corinzi è «evangelo» (v.1). E dice: Ma dirà qualcuno: «Come risuscitano i morti, e con quale corpo verranno?». Stolto! Quello che tu semini non è vivificato, se prima non muore. E quanto a quello che semini, tu non semini il corpo che ha da nascere, ma un granello nudo, che può essere di frumento o di qualche altro seme. E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme dà il suo proprio corpo. […] Così sarà pure la risurrezione dei morti; il corpo è seminato corruttibile e risuscita incorruttibile. È seminato ignobile e risuscita glorioso; è seminato debole e risuscita pieno di forza. È seminato corpo naturale, e risuscita corpo spirituale. Vi è corpo naturale, e vi è corpo spirituale. Così sta anche scritto: «Il primo uomo, Adamo, divenne anima vivente»; ma l’ultimo Adamo è Spirito che dà la vita.
Naturalmente tutto questo agli scettici e materialisti non basta.
Cristo, l’ultimo Adamo, quello che dà la vita non basta. Pertanto, puntano sulla morte. Dopo molte generazioni cieche guidate da ciechi, e nonostante oggi si abbia molta libertà di leggere l’evangelo, gli scettici dubitano dell’evangelo stesso e i materialisti puntano alla materia. La stoltezza è multiforme. In attesa umile che la morte sia «inghiottita nella vittoria» occorre «ringraziare Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo» e «stare saldi, irremovibili, abbondando del continuo nell’opera del Signore, sapendo che la fatica per le sue cose non è vana nel Signore». Felice chi ascolta-e-ubbidisce a Cristo. Per amore, però, non per interesse.
La qualità della vita, la vera qualità vitale, risiede solo in Cristo Gesù. È questo, solo questo, che dà significato concreto alle seguenti parole che andrebbero meditate a lungo, considerate bene, soppesate e infine ubbidite per amore e fiducia: [È assurdo rimanere in una condizione di peccato!] «Noi che già siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere nel peccato? O non sapete che quanti siamo stati immersi in Cristo Gesù, siamo stati immersi nella sua morte? Per mezzo dell’immersione [in acqua] siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati innestati a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione» (Romani 6,1-5; il testo continua descrivendo gli effetti della vita nuova in Cristo fino alla acquisizione della vita eterna in Lui). Il confronto con la vita, vuota e banale, al di fuori di Gesù è improponibile.
Pertanto il ragionamento di Paolo apostolo si conclude, in Romani 6, con parole che fanno emergere il contrasto insanabile fra il come-eravamo e il ciò-che-siamo-in-Cristo: Quando infatti eravate sotto la schiavitù del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia. Ma quale frutto raccoglievate allora da cose di cui ora vi vergognate? Infatti il loro destino è la morte. Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna. Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore.
Questa vita eterna – «eterna» perché piena in Dio, e non perché è per sempre – è «buona» e auspicabile anche, anzi soprattutto per quanti chiamano il peccato liberazione, definiscono la schiavitù libertà, decidono di chiamare la morte vita, si vantano in pubblico d’essere s/vergognati, non intendono la differenza tra «salario» (di morte) e «dono» (di vita nel Signore), invertono predicazione in mal/dicenza e danno ascolto alla male/dizione come fosse predicazione dell’evangelo. Questa vita piena in Dio è l’unico dono – gesto, atto, fatto gratuito – che non nasconde frode alcuna. Validissime e da ri/leggere restano le due formule vitalizzanti: Rm 3,4 «Dio è verace e ogni uomo mentitore»; Rm 11,32 « Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per far misericordia a tutti»; beato chi le medita e le osserva alla luce del loro contesto.
© Riproduzione riservata Roberto Tondelli (Libertà Sicilia, 11 2019)
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Piccola bibliografia:
Otto Kuss, La lettera di Romani, Brescia 1968. Romano Penna, Lettera ai Romani II (6-11), Bologna, 2007.
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