Riflessioni

Parola salvifica

Ascoltare prima di parlare

Parola dolce, pensata, vissuta, fatta di carne e sangue, parola «salvifica»: «coraggio» Alessandro Manzoni (1785-1873)

 

È sicuramente un mio limite umano non riuscire a comprendere perché mai una persona, per difendere le proprie idee, debba cercare e ricercare nemici; poi, pensando di averne trovati, perché mai debba attaccarli sul piano personale. Forse, in tempi di guerra come quelli che attraversiamo, chi scrive su un giornale o comunica in qualche modo, pubblicamente o privatamente, dovrebbe avvertire la seria responsabilità di seguire un consiglio di Alessandro Manzoni. Scrivendo delle reazioni alla peste di Milano, ricorda che essa fu dapprima negata («no peste»), poi si ammise l’idea, ma «per isbieco», poi si parlò di «non vera peste» e infine di «peste», però con l’idea del «venefizio e del malefizio», alterando quindi «l’idea espressa dalla parola». Ed è in questo contesto che Manzoni conclude: «Si potrebbe, però, tanto nelle cose piccole, come nelle grandi, evitare, in gran parte, quel corso così lungo e così storto, prendendo il metodo proposto da tanto tempo, d’osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare. Ma parlare, questa cosa così sola, è talmente più facile di tutte quell’altre insieme, che anche noi, dico noi uomini in generale, siamo un po’ da compatire» (I promessi sposi, c. 31).

Vorrei proporre qualche pensiero su una parola che affiora come necessaria e vitale in queste ore, «coraggio». Scrive Gabriele Romagnoli: «Immagina la voce calda del comandante che ti rassicura attraverso il microfono di bordo. Sei sospeso in cielo eppure ti fidi: di lui, di leggi della fisica che non conosci, perfino di te stesso in caso di necessità. Immagina la voce soave di tua madre quando ha infine staccato le mani dalle tue spalle per sospingerti con delicatezza: a camminare, pedalare, pattinare. L’anestesista subito dopo averti collegato al flusso del liquido che ti stordirà, prima di suggerirti il conto alla rovescia che non finirai. La persona che più ti è vicina, esattamente nel momento in cui ne avrai bisogno, per sfiorarti il braccio e sussurrare quella parola. Immaginala detta così, in modo non imperativo, né perentorio: una carezza d’ordine, un viatico per il futuro, il tuo vero passaporto per la vita. Per essere la donna o l’uomo che in un pomeriggio disperso nell’infanzia, in un cortile senza voci, leggendo un fumetto, hai desiderato diventare, non sempre, ma quando avrebbe contato: aprire il portellone d’emergenza, cedere il posto nella scialuppa di salvataggio, alzare la testa. E, a tua volta, avvicinarti a qualcun altro e dirglielo, con la stessa voce che si tramanda e ci sostiene, anche adesso, così: Coraggio!» Romagnoli definisce «salvifica» la parola «coraggio» (la Repubblica 13/03/2020).

Colpisce non solo il consiglio (ottimo) di Manzoni e la nota (sapiente) di Romagnoli, ma soprattutto che coraggio sia definita parola «salvifica», perché nell’uso comune, «salvifico» è un termine tipico del discorso biblico. Si dice SALVIFICA la fede fiduciosa nel Padre e in Cristo, la grazia/dono che viene offerta a ciascuno in Gesù, la Sacra Scrittura che è la parola di Dio ispirata da Lui; è salvifica la conversione (ravvedimento); è salvifico l’ascolto ponderato, attento, non banalizzante né confessionale, della parola di Cristo espressa nelle Scritture (ebraiche e cristiane: LE SOLE ispirate dal Padre); è salvifica la meditazione sui capitoli 52-53 del profeta Isaia che annuncia le sofferenze del servo dell’Eterno (il Mashià/Cristo, appunto); è salvifica la meditazione sul nostro ERRARE PERSONALE, che spesso ci fa tradire un’amicizia per interesse o ci fa sentire centro del mondo (piccolo, piccolo) in cui ci siamo rintanati; è salvifico riflettere sul capitolo 6 della lettera di Paolo ai Romani dove ci si dice come morire all’errore e come rinascere in Cristo; è salvifico meditare sul capitolo 13 della Prima lettera ai Corinzi che descrive l’amore come il «non cercare il proprio interesse»; è salvifico considerare il capitolo 12 della lettera ai Romani dove si ricorda che «siamo membra l’uno dell’altro» e che si può non farsi vincere dall’errore, ma «vincere il male col bene»; è salvifico considerare che Dio è «Padre di tutti, è sopra tutti, fra tutti e in tutti», come dice la lettera agli Efesini; è salvifico riconoscere la sapienza di Giacomo che nella sua lettera consiglia di agire con «saggia mansuetudine»; è salvifico riconoscere che ancora Giacomo è nel vero quando scrive: «Da dove vengono le guerre che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni» (c. 4).

Infine, è salvifico il coraggio dato con semplicità. E qui va detto bene che chi può offrirci questa parola salvifica, coraggio, dicendocela con piena cognizione di causa è solo Cristo Gesù: «Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). Non lo ha solo detto. Lo ha dimostrato – caso unico – con la sua risurrezione. Però Gesù non ha mai detto che a chi crede saranno risparmiate le tribolazioni. Ha detto invece che la fede accompagna il credente attraverso le tribolazioni. Con coraggio.

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R.T. (Libertà Sicilia 03 2020) cnt2000@alice.it

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