LA CHIESA SECONDO IL NUOVO TESTAMENTO
Mi pare sia stato Luigi Pirandello a dire che la vita o la si vive o la si scrive. Il che probabilmente voleva significare che nel suo caso egli aveva scelto di scriverla, anche se ciò non gli ha poi certo impedito di viverla.
Vorrei tentare di parafrasare quel detto, applicandolo alla chiesa, e affermando che la chiesa non la si frequenta, ma la si vive! Frequentare la chiesa sarebbe troppo poco: si frequenta un bar o un circolo di ricreazione; si frequenta lo stadio o la discoteca. Ma la chiesa no, non ci si può limitare a frequentarla. Proprio come non ci si potrebbe limitare a frequentare la propria famiglia.
Frequentare la chiesa è l’atteggiamento di quanti si sentono esterni alla vita della chiesa; sono quelle persone cioè che, pur non vestendo la tonaca, sono i veri clericali, perché hanno abdicato al loro «diritto di figli di Dio» (Gv. 1,11), hanno abbandonato il loro servizio di «sacerdoti santi» (1 Pt. 2,5 e v.9), hanno delegato volentieri e completamente l’opera della chiesa nelle mani di una élite – la si chiami «clero», «pastori» o altro, poco importa, conta la realtà delle cose e delle situazioni.
La chiesa non la si frequenta, ma la si vive. Il concetto espresso da questa frase colpisce per le implicazioni racchiuse in essa. Cerchiamo di considerarne qualcuna. La frase stessa non è scritta nella Bibbia, ma credo che esprima una grande verità, un concetto importante, che è realmente alla base del Vangelo. Analizziamo un poco più da vicino questa frase interessante.
Che cos’è che noi frequentiamo? Frequentiamo tutto ciò che è esterno a noi stessi, ciò che in effetti non ci colpisce nel profondo, ciò che rimane al di fuori di noi. Che cosa, invece, noi realmente viviamo? Noi viviamo tutto ciò che è dentro di noi, che è effettivamente parte di noi stessi e profondamente interiorizzato nel nostro stesso esistere.
La nostra frase mette in luce il vero concetto concreto di chiesa, descritto bene da Paolo apostolo:
Poiché, siccome il corpo è uno ed ha molte membra, e tutte le membra del corpo, benché siano molte, formano un unico corpo, così ancora è di Cristo. Infatti noi tutti abbiamo ricevuto il battesimo di un unico Spirito per formare un unico corpo, e Giudei e Greci, e schiavi e liberi; e tutti siamo stati abbeverati di un unico Spirito. E infatti il corpo non si compone di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: Siccome io non sono mano, non sono del corpo, non per questo non sarebbe del corpo. E se l'orecchio dicesse: Siccome io non sono occhio, non sono del corpo, non per questo non sarebbe del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l'udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l'odorato? Ma ora Iddio ha collocato ciascun membro nel corpo, come ha voluto. E se tutte le membra fossero un unico membro, dove sarebbe il corpo? Ma ora ci sono molte membra, ma c'è un unico corpo; e l'occhio non può dire alla mano: Io non ho bisogno di te; né il capo può dire ai piedi: Non ho bisogno di voi. Al contrario, le membra del corpo che paiono essere più deboli, sono invece necessarie; e quelle parti del corpo che noi stimiamo esser le meno onorevoli, noi le circondiamo di maggior onore; e le parti nostre meno decorose sono fatte segno di maggior decoro, mentre le parti nostre decorose non ne hanno bisogno; ma Dio ha costrutto il corpo in modo da dare maggior onore alla parte che ne mancava, affinché non ci fosse divisione nel corpo, ma le membra avessero la medesima cura le une per le altre. E se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui; e se un membro è onorato, tutte le membra ne gioiscono con lui. Or voi siete il corpo di Cristo, e membra d'esso, ciascuno per parte sua. (1 Cor. 12: si osservi che il brano continua con le varie funzioni specifiche che esistono nel corpo).
Ecco la vera natura della chiesa: un corpo, vivente e palpitante! costituito da molte membra, deboli o forti, diverse fra loro per funzioni e scopi, ma tutte dotate di un bisogno profondo ed essenziale l’una dell’altra. Possiamo domandarci come mai le membra abbiano bisogno l’una dell’altra. La risposta è semplice: proprio perché esse sono costituite in «corpo unico», e non sono certo un ammasso informe di pezzi di carne! Essere una chiesa come corpo, e non come ammasso di pezzi di carne, dev’essere la meta a cui i discepoli di Gesù puntano con volontà e serietà d’intenti.
Talvolta, quando ci s’interroga e ci si confronta su questo aspetto si tende a divenire sin troppo critici nelle nostre analisi. Così si rischia di sconfinare persino nello scoraggiamento. Scoraggiarsi è peccato. Non serve scoraggiarsi gli uni gli altri, occorre invece prendere come riferimento gli esempi delle prime chiese di Dio, nel Vangelo, e avere fiducia: dopo tutto, quelle persone non furono marziani, ma esseri umani proprio come noi.
Occorre rammentare che noi siamo stati cattolici e continuiamo a vivere in una società che ha una forte mentalità cattolica (sia detto senza disprezzo per il cattolicesimo, ma in riferimento agli aspetti più deleteri di una certa mentalità pigra e dedita alla facile delega in ogni campo). Veniamo da regioni diverse, con mentalità diverse fra noi. Viviamo in un mondo che certo non ci aiuta sulla via della fede, ma questo è nella natura delle cose e Gesù l’aveva detto in anticipo: la società spinge sempre più alla competizione, all’egoismo, al profitto, alla convenienza, all’opportunismo, e non certo alla solidarietà, alla generosità, al non-profitto, all’altruismo, alla sensibilità verso l’altro, alla lealtà, alla sobrietà, alla cura reciproca.
Non ci si può nascondere che questa influenza si fa sentire! Questo è semplicemente un fatto. Non dobbiamo negare a noi stessi di vivere talvolta una vita separata gli uni dagli altri, privatistica, quasi del tutto sconosciuta agli altri. Si tende a vivere troppo separati gli uni dagli altri, e solo poche persone si frequentano avendo davvero cura gli uni per gli altri.
Tuttora sorprende e meraviglia leggere di quella comunione che esisteva fra i primi credenti nel libro degli Atti degli apostoli: quelle persone avevano tutto in comune, la fede e la vita. Non erano frequentatori della chiesa, erano chiesa essi stessi! e vivevano esistenzialmente quella loro «unione assieme». Riflettere su queste cose non deve indurci a una critica eccessiva verso noi stessi o addirittura allo scoraggiamento, tutt’altro! Incoraggiamoci gli uni gli altri proprio in questo modo:
· cerchiamo con l’aiuto del Signore di imitare quei primi credenti
· cerchiamo di afferrare e interiorizzare meglio ciò che Gesù ci insegna.
Giacomo insegna a confessare i peccati «gli uni agli altri» (5,16): quale grande fiducia e confidenza ciò implica! Abbiamo certo dei difetti: aiutiamoci a superarli e a migliorare; impariamo, nonostante gli errori, a nutrire fiducia gli uni gli altri in tutte le cose. Se la fede fiduciosa ci avvicina a Gesù, è anche vero che la fede fiduciosa deve avvicinarci gli uni agli altri.
C'è quindi un errore che va evitato. Attenzione, infatti, a non commettere l’errore di rinunciare alla comunione e alla fiducia fra noi, pensando che, in ogni caso, rimane sempre la comunione e la fiducia con Gesù! Molti commettono tale errore tremendo. Infatti:
· questo è il pensiero di chi ha abbandonato la chiesa del Signore.
· Giovanni è chiaro su questo aspetto: Se uno dice: io amo Dio e non ama (=odia) suo fratello, è un bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha veduto, non può amare Dio che non ha veduto (1 Gv. 4,20).
Pietro nella sua lettera fa una scaletta delle virtù del credente:
Poiché la sua potenza divina ci ha donate tutte le cose che appartengono alla vita e alla pietà mediante la conoscenza di Colui che ci ha chiamati mercé la propria gloria e virtù, per le quali Egli ci ha largito le sue preziose e grandissime promesse onde per loro mezzo voi foste fatti partecipi della natura divina dopo esser fuggiti dalla corruzione che è nel mondo per via della concupiscenza, voi, per questa stessa ragione, mettendo in ciò dal canto vostro ogni premura, aggiungete alla fede vostra la virtù; alla virtù la conoscenza; alla conoscenza la continenza; alla continenza la pazienza; alla pazienza la pietà; alla pietà l'amor fraterno; e all'amor fraterno la carità. Perché se queste cose si trovano e abbondano in voi, non vi renderanno né oziosi né sterili nella conoscenza del Signor nostro Gesù Cristo. Poiché colui nel quale queste cose non si trovano, è cieco, ha la vista corta avendo dimenticato il purgamento dei suoi vecchi peccati (2 Pt. 1, 1 ss.: si osservi che il dono e la chiamata di Dio,unitamente al destino cui il Signore ci chiama, mette i discepoli in condizione di operare attivamente essi stessi aggiungendo virtù a virtù).
Non può essere casuale che qui l’amore fraterno sia la penultima cosa in ordine crescente di difficoltà: davvero non si può amare Dio se non si amano i fratelli e le sorelle!
La proposta pratica è dunque: cercare e trovare le occasioni per incontrarci anche nelle nostre case, di sera, qualche volta, non necessariamente per mangiare e bere, ma prendendo lo spunto biblico per parlarci e imparare assieme dalla Parola di Dio.
Nonostante tutti i nostri difetti – che certo sono parecchi – siamo gente che un giorno ha scelto di seguire Gesù alla maniera del Nuovo Testamento. Ci stiamo lavorando. Anzi, Dio stesso è all’opera perché riusciamo a migliorare ogni giorno un poco.
È vero che la prima cosa, la più semplice, che il cristiano e la cristiana imparano a fare è proprio essere sempre presenti attivamente alle riunioni della chiesa per dare e ricevere incoraggiamento all’amore e al bene operare (Ebr. 10,20-26). Ma non ci si può limitare ad una presenza, perché lo scopo che il Signore ci ha dato è di amarci intensamente gli uni gli altri, vivendo nella chiesa, con la chiesa e per la chiesa, non semplicemente frequentandola.
D.D. (1982-2009)
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